Avrete sicuramente letto da qualche parte a proposito della viticoltura rigenerativa (o più in generale di agricoltura rigenerativa).
Di cosa si tratta?
Il nome può sembrare una novità, un nuovo modo di gestire la vigna. In realtà, come vedrete, comprende una serie di pratiche che sono già patrimonio di chi come noi conduce la propria vigna in modo sostenibile. In particolare, il concetto di “rigenerare” si riferisce al suolo. Si tratta quindi di una gestione sostenibile della vigna che mira principalmente a mantenere un suolo vitale e in salute.
Ho letto anche di termini ancora più particolari e di nicchia, come ad esempio l‘agricoltura sintropica, che fa focus soprattutto sulla conservazione e l’aumento della biodiversità del suolo agricolo.
Come avrete notato, ogni tanto nel nostro settore nasce una nuova espressione o definizione legata alle tecniche viticole (o di cantina). Tuttavia spesso non si inventano nulla di nuovo. Se mai pongono l’attenzione su qualche aspetto particolare. Non possiamo negare che possano anche essere “stratagemmi” utili a rivitalizzare la comunicazione che, nel mondo del vino o dell’agricoltura in generale, rischia spesso di languire. D’altra parte questo è un settore lento e poco variegato per sua natura, non come altri che sfornano novità in continuazione. Tutto ciò lo rende poco adatto al mondo super veloce della comunicazione odierna. Il rischio però è di creare più confusione di quanto si faccia informazione, come purtroppo a volte accade.
Le proprietà di un suolo in salute
Cosa significa prima di tutto un “suolo in salute”? Sembra un’espressione strana ma ormai è usata frequentemente. La si può capire meglio se scomponiamo le diverse proprietà del suolo, che sono tre: fisiche, chimiche e biologiche.
Le proprietà fisiche di un suolo sono legate alla sua struttura. Un suolo in salute ha una parte superficiale porosa e stabile, che è l’esatto contrario di un suolo compattato e/o sottoposto a fenomeni erosivi. Quindi ci sono ottimi scambi gassosi, le radici possono crescervi all’interno in modo ottimale (nei primi strati si trova la maggior parte delle sostanze nutritive), non ci sono erosioni, … Inoltre deve essere abbastanza profondo da permettere alle radici di allungarsi anche in profondità, alla ricerca di acqua, in relazione al tipo di disponibilità idrica del territorio. Deve avere un buon drenaggio, per evitare asfissie radicali in caso di piogge, soprattutto se prolungate o intense.
Le proprietà chimiche del suolo sono ottimali, prima di tutto, se non ci sono sostanze inquinanti. Considerando di partire da un suolo “pulito”, dobbiamo essere prima di tutto noi a non inquinarlo. Quindi il primo punto è rispettare le regole della viticoltura integrata che evita l’inquinamento del suolo con i prodotti usati per la difesa della vigna o altro. Un suolo in salute poi ha un ottimale contenuto di sostanze nutritive per le viti (i sali minerali). Non ci devono essere carenze ma neppure eccessi. Infine, devono essere contenuti i livelli di alcuni composti naturali, come ad esempio il cloruro di sodio, che possono rappresentare un ostacolo allo sviluppo delle radici.
Arriviamo infine alle proprietà biologiche di un suolo in salute. Naturalmente si riferiscono ad un alto livello di biodiversità nel suolo, cioè gli organismi che lo popolano, detti nel complesso bioma. In un suolo in salute si ha un’alta presenza di organismi “utili” e una bassa pressione di parassiti. Gli organismi “utili” comprendono la vasta categoria di quelli che intervengono nel tenere sotto controllo la popolazione dei parassiti della vite, in qualità di predatori, competitori o (a loro volta) parassiti. È la lotta biologica. Noi applichiamo quella detta conservativa, cioè si favorisce la presenza della fauna spontanea. Si evita di ricorrere al rilascio artificiale di organismi perché è una pratica poco sostenibile per due motivi. Il primo è che gli organismi rilasciati in natura spesso faticano a sopravvivere, per cui potrebbe essere solo una perdita di tempo (e di soldi). Nel caso ce la facessero, l’introduzione di specie non locali sarebbe comunque poco opportuna, perché potrebbe rappresentare un danno per l’ecosistema. L’introduzione di insetti o altri organismi può portare a dei risvolti negativi che non sono sempre facilmente prevedibili.
Un’altra classe fondamentale di organismi utili del suolo è rappresentata da quelli che partecipano al processo di degradazione della sostanza organica, a partire dallo sminuzzamento dei detriti organici, alla loro traslocazione nel suolo e alla degradazione vera e propria. Qui rientrano molte categorie, dai lombrichi ai millepiedi, chiocciole, insetti e altri artropodi, protozoi, nematodi, funghi, batteri … Questi ultimi sono quelli che attuano la degradazione vera e propria e oggi sono spesso indicati col termine collettivo di microbioma del suolo. Il fenomeno naturale della degradazione ha dato l’idea agli studiosi del settore di creare dei prodotti di difesa di ultima generazione che, oltre ad agire a basse dosi, sono anche biodegradabili. Più è alta l’attività del bioma e più rapido ed efficiente è il processo della loro degradazione.
Un’altra classe di organismi del suolo molto conosciuti sono le micorrize, cioè quei funghi che possono entrare in simbiosi con le radici delle viti (e di altre piante), in uno scambio favorevole vicendevole. Senza scendere nel dettaglio, le micorrize si prendono dei carboidrati dalla pianta. In cambio, “aiutano” le radici nell’assorbimento di acqua e di alcuni elementi minerali. Infatti formano una rete di ife sottilissime che riesce a colonizzare il suolo con una densità molto fitta, arrivando anche dove le radici della vite, che presentano un diametro più grande, non riescono. Le micorrize sono presenti naturalmente in un suolo in salute. Anche in questo caso gli studiosi hanno visto che l’aggiunta artificiale è spesso inutile: se la situazione è favorevole, questi funghi si sviluppano in modo spontaneo. Se le condizioni non sono adatte, anche se li rilasciamo artificialmente, non riusciranno a svilupparsi e a sopravvivere.
Ricordo infine che l’alto livello di biodiversità porta ad aumentare notevolmente il sequestro di anidride carbonica nel suolo.
Come funziona la viticoltura rigenerativa.
Diverse pratiche agricole favoriscono gli aspetti appena descritti relativi ad un suolo in salute.
Il primo passo fondamentale è naturalmente quello di attuare una difesa della vigna sostenibile, cioè basata sulla viticoltura integrata a basso impatto. Questo è essenziale per evitare di inquinare, così da preservare le caratteristiche chimiche e biologiche del suolo.
Il secondo concetto fondamentale della viticoltura rigenerativa è la minima lavorazione. Questo è un cardine di tutti gli ambiti della viticoltura integrata, cioè di diminuire al massimo gli interventi, compatibilmente al mantenimento di una buona gestione della vigna.
Permettetemi un inciso. Spesso questo concetto è poco compreso o sottovalutato. Viceversa, spesso è travisato o enfatizzato, passando da quello che è un lavoro intelligente all’idea di abbandono, che la natura faccia tutto da sé. La lavorazione minima è un agire contenuto ma sapendo cosa si sta facendo e perché. Va infatti contestualizzata caso per caso: per il tipo di suolo, il clima, l’andamento meteorologico del periodo specifico, il momento del ciclo della vite, … Il concetto è quindi di lavorare il meno possibile, a meno che la situazione non lo richieda per il bene della vigna.
IL concetto generale di lavorazione minima della viticoltura integrata, che prevede di ridurre tutti gli ingressi nella vigna per ogni tipo di lavoro, fa sì che il suolo non venga compattato dal passaggio continuo dei mezzi agricoli. Gli studiosi hanno infatti dimostrato come un suolo compattato peggiori in termini di sofficità, scambi idrici e gassosi. Inoltre diminuisce notevolmente la sua biodiversità.
Nello specifico dei lavori fatti proprio sul suolo, si parla di lavorazione minima sia come frequenza che profondità. I vantaggi ormai sono tanti e investono diversi aspetti. Il suolo va lavorato il meno possibile per evitare di rovinare la parte di radici più superficiali della vite, che sono numerose ed indispensabili per l’assorbimento dei nutrienti e, in alcuni casi, dell’acqua. È meglio sempre evitare lavorazioni troppo profonde, che vanno a rimescolare strati aridi con quelli vitali più superficiali. La lavorazione minima ha in generale la conseguenza di una maggiore salvaguardia della biodiversità.
Strettamente connesso alla lavorazione minima è un altro cardine della viticoltura rigenerativa, relativo alla copertura del suolo che andrebbe fatta con prato naturale. I vantaggi del suolo coperto con vegetazione da quello nudo sono ormai ampiamente riconosciuti. Li avevo già descritti a fondo in questo post. In breve, la copertura contribuisce a migliorare tutte le proprietà del suolo. Infatti si ha una maggiore porosità e sofficità. L’inerbimento evita o contiene problemi di erosione. Mantiene una temperatura del suolo più bassa, con minor evaporazione. Se c’è troppa siccità, l’erba secca spontaneamente, non creando competizione con le viti. Viceversa, l’erba aiuta ad assorbire eventuali eccessi di acqua e rende anche il terreno più agibile dopo le precipitazioni.
La presenza di una copertura favorisce la biodiversità, anche del bioma del suolo, che permette una più veloce ed efficace degradazione della sostanza organica, migliorando la presenza di elementi nutritivi per le piante. Il bioma è anche responsabile della degradazione di alcuni composti usati nella difesa sostenibile, come già accennato. L’erba stessa fa da barriera fisica e biologica, ad esempio, in caso di eccessi di concimazione fatti per errore. Molte sostanze sono trattenute dal prato e non passano nella falda acquifera.
Perché non si sceglie il prato seminato? Questa gestione si riduce a pochi mesi all’anno. Inoltre comporta più ingressi nella vigna, oltre che deprime la biodiversità. Il prato naturale invece non costa nulla, segue il ritmo delle stagioni, presenta fioriture di tante specie in diversi momenti dell’anno, offrendo così un ambiente attrattivo per la microfauna. Un tempo si consigliava di seminare leguminose, per arricchire di azoto il terreno col sovescio. È da tempo che gli studi di settore hanno dimostrato che l’apporto di azoto (e altre sostanze) non è così diverso fra il sovescio di prato spontaneo e di leguminose seminate. La differenza è compensata dai tanti altri vantaggi elencati.
Infine, è fondamentale il tipo di concimazione del suolo. Principalmente, salvo casi si carenze eccezionali e puntiformi che richiedono altri interventi, la concimazione ideale per la viticoltura rigenerativa è fatta con sostanza organica di origine vegetale. Si tratta di tutti i resti vegetali della vigna, dal sovescio del prato, i tralci delle potature sminuzzati in loco, le foglie, i resti dei raspi, … Più che fare cumuli di compost, è importante lasciare o distribuire questa sostanza organica in modo uniforme sull’intera superficie della vigna. Questo strato organico, fino alla sua degradazione, aiuta a mantenere bassa la temperatura del suolo e a limitare l’evaporazione. Inoltre, in questo modo non otteniamo solo il risultato di concimare ma anche di nutrire e far sviluppare il bioma del suolo in modo diffuso. Se facciamo solo i cumuli, la microfauna si sviluppa solo in quei punti. La concimazione con letame invece non sembra essere così sostenibile. Nel tempo può peggiorare le caratteristiche chimiche del suolo, portando ad una eccessiva salinizzazione e all’accumulo di nitrati. Inoltre è poco sostenibile, se deriva da allevamenti intensivi. Aggiungiamoci anche il viaggio, se non ci si può rifornire nelle strette vicinanze.
Quindi, per concludere, la cura del suolo è un elemento chiave per la sostenibilità e una gestione ottimale della vigna. L’agricoltura, o viticoltura, rigenerativa parla proprio di questo.
Vi invito a rileggere anche due articoli sulle radici (qui e qui), che approfondiscono questi ed altri aspetti legati al rapporto della vite col suolo.