Ai giorni d’oggi il nostro territorio è un giardino mediterraneo di grande bellezza, dove si producono vini di prestigio mondiale. Nell’epoca antica, come ho raccontato qui e qui, era una fiorente zona agricola, al centro di un ottimo sistema di comunicazione e di commerci.  Nelle diverse aziende agricole romane del territorio, poste come oggi nell’area pedecollinare e di pianura intorno alla via Aurelia, si producevano e commerciavano vino, olio d’oliva e cereali.

Invece, nel lungo periodo intermedio fra questi due estremi, la costa toscana meridionale subì una trasformazione drammatica: divenne un territorio povero, dominato da paludi, con un’agricoltura poco più che di sussistenza ed anche isolato. E così rimarrà per secoli. Come è stato possibile?  

Sicuramente la natura del luogo ha avuto un ruolo importante. Le paludi costiere naturali hanno dilagato senza più l’intervento umano di costante gestione e cura del territorio, iniziato con gli Etruschi e perfezionato in epoca romana.

La questione geografica è sicuramente determinante ma non è sufficiente a spiegare questa involuzione, che dipese comunque soprattutto da motivi politici e sociali, strettamente concatenati fra loro. La Maremma, forse troppo lontana dai centri di potere di allora, divenne solo una terra da depredare, senza che i dominatori si preoccupassero minimamente del suo sviluppo. Questa gestione e la povertà locale resero la situazione sociale molto stagnante, con un’impostazione feudale che impedì per secoli la nascita di una classe di proprietari terrieri più dinamici, in grado di guidare un importante sviluppo dell’agricoltura (viticoltura compresa) e di tutto il territorio, come successe invece in altre parti della Toscana.

Per lunghi secoli, quindi, la Maremma non è stata il luogo solare di vacanze che è oggi.  Era una Maremma aspra e selvaggia, una terra di povertà e di abbandono, che è rimasta più o  meno tale fino al XIX, per alcune zone anche per la prima metà del XX secolo.

È la Maremma che Dante cita nella Divina Commedia come paragone per la triste foresta dei suicidi, un bosco intricato e malevolo, pieno di sterpi e di bestie temibili. La definisce con quelli che reputa i suoi confini: Cecina a nord e Corneto a sud (il nome medievale di Tarquinia):

“[…] non han sì aspri sterpi né sì folti

quelle fiere selvagge che ‘n odio hanno

 tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.”.

È la Maremma che ancora nell’Ottocento rendeva precaria la vita dei suoi abitanti e dei lavoratori stagionali con la  malaria, come ricordato in questo famoso canto popolare toscano:

“Tutti mi dicon Maremma, Maremma..

ma a a me mi pare una Maremma amara

l’uccello che ci va perde la penna

io c’ho perduto una persona cara.

Sia maledetta Maremma, Maremma,

sia maledetta Maremma e chi l’ama.

Sempre mi piange il cor quando ci vai

perché ho timore che non torni mai …”.

(“Maremma amara”, canzone popolare toscana)

Il nostro comune di Castagneto Carducci è nella parte più a nord della Maremma, detta Alta Maremma o (in passato) anche Maremma Pisana.

 

La produzione del vino di allora.

In tutta Italia, la produzione del vino nell’Alto Medioevo fu notevolmente ridimensionata rispetto alla fiorente epoca romana, ma non scomparve mai del tutto. Molto diversa fu la storia nell’Europa centro-settentrionale, dove la viticoltura era stata portata dai Romani. Dove la coltivazione era resa difficile e costosa da un clima non proprio favorevole, scomparve quasi del tutto. Sopravvisse solo grazie agli ordini monastici e alla Chiesa. Alla produzione religiosa se ne affiancò poi una signorile, di nobili e principi, per i quali il vino era un simbolo di prestigio e di potere.29

Invece nel mondo mediterraneo come l’Italia, dove la vite cresce rigogliosa senza troppa fatica, la produzione rimase sempre molto diffusa anche nel mondo contadino. Già alla fine dell’Alto Medieovo era ritornata a buoni livelli quantitativi, con la ripresa di traffici e commerci. Quasi tutti gli Statuti Comunali italiani si preoccuparono di regolamentare la produzione del vino, i dazi e quant’altro.

In generale si persero però le raffinate tecniche romane e si tornò ad una produzione più primitiva. Ci vorrenno secoli per recuperare molte di queste conoscenze. Per avere una trasformazione veramente sostanziale, si dovranno poi  aspettare le scoperte e le innovazioni della seconda metà dell’Ottocento.

La viticoltura medievale fu caratterizzata in generale da vigne chiuse e protette, realizzate a ridosso dei villaggi e anche dentro le mura di borghi e città. Gli spazi da sfruttare erano ristretti e quindi prevalse la coltivazione della vite bassa. Dal Rinascimento, col ritorno ai campi aperti, nell’Italia centrale tornerà invece a prevalere la vite maritata all’albero. Come già raccontato qui in epoca romana, l’una e l’altra forma (con tutte le varianti locali) non spariranno mai del tutto in Italia. Prevarrà l’una o l’altra a seconda delle epoche storiche e delle tradizioni locali.

 

Anche nel nostro territorio la vite ed il vino non sparirono neanche nelle epoche più buie. La presenza delle vigne intorno a Castagneto è citata fin dal primo documento scritto dell’Alto Medioevo (754 d.C.) ed in quelli successivi, con un certo incremento nelle proprietà signorili del Seicento e, soprattutto, del Settecento.

Ho raggruppato questo lungo periodo perchè purtroppo non abbiamo notizie su come fosse la viticoltura ed i vini locali di queste epoche. Sappiamo solo che fu una produzione essenzialmente legata ad un consumo locale, senza sviluppo ulteriore per via delle difficoltà generali del territorio di allora. Un salto produttivo ci sarà solo con l’Ottocento, ma di questo parlerò in un prossimo post.

Una particolarità è che i contadini maremmani, a fianco della produzione nelle vigne, continuarono ancora ad usare per secoli l’uva selvatica delle lambruscaie, gli aggregamenti di viti selvatiche nei boschi da cui migliaia di anni prima aveva avuto origine la viticoltura (vedete qui). Come descritto da Emilio Sereni, in Italia non c’è quasi mai stata una separazione netta fra l’ambiente agricolo-pastorale e quello naturale. Mi piace pensare che questa tradizione non sia morta e stia tornando nell’idea di agro-ecologia che stiamo cercando di applicare ai nostri giorni.

 

Vediamo ora come il paesaggio e l’agricoltura del nostro territorio si sono trasformati in questi lunghi secoli, quando la Maremma era ancora aspra e selvaggia.

 

La Maremma dei villaggi di altura.

Tra la parte finale dell’Impero Romano e l’inizio dell’Alto Medioevo, ci fu un vuoto politico, accompagnato da incursioni barbariche e guerre che trasformarono drammaticamente il nostro territorio, come tutta l’Italia. Fra il VI e VIII secolo l’area fu quasi spopolata e gli insediamenti si spostano sempre più sulle colline. Cercavano di sfuggire al progressivo avanzamento delle paludi costiere ma anche di allontanarsi dalla via Aurelia, fino ad allora asse centrale del territorio ma che ormai era diventata la porta di ingresso di barbari ed eserciti.

Si tornarono spesso ad occupare i luoghi di abitazione pre-romana, dove era più facile proteggersi e nascondersi, con vicini fonti e boschi per il sostentamento, visto che l’agricoltura non era più sufficiente.

Bolgheri
Bolgheri

Nel giro di poche generazioni si persero infatti molte delle conoscenze e delle tecniche in ogni campo. I villaggi tornarono ad essere fatti di capanne. In alcune zone della Toscana si ritornò addirittura ad abitare le grotte. L’uso della pietra sarà recuperato solo verso il IX-XI secolo, prima per le mura difensive, le dimore signorili e poi il resto.

In questo periodo è nata la struttura del paesaggio della Maremma la cui impronta è visibile ancora ai giorni nostri:

  1. La parte di pianura costiera era dominata da acquitrini, canneti e boscaglia.
  2. La zona pede-collinare e di prima collina era quella abitata e coltivata. Qui si formarono gli insediamenti che poi diventeranno i borghi medievali ed i castelli. Le coltivazioni erano poste intorno ai villaggi. Più a ridosso delle case (e poi anche dentro le mura) c’erano le vigne, gli orti, gli olivi ed altri alberi da frutto, ben protetti dagli animali selvatici e no, oltre che dagli umani. I cereali ed altre colture (come le fibre tessili) erano coltivati in spazi un po’ più ampi e un poco più discosti dai villaggi. I singoli appezzamenti erano detti mansi, realizzati sui diversi fianchi delle colline, per sfruttare le diverse esposizioni al sole.
  3. Le colline vicine erano invece dominate dai boschi, il vero asse centrale per la vita e l’economia dell’epoca.

[one_third][info_box title=”” image=”” animate=””]Dal VI secolo cominciò il dominio longobardo, col centro del ducato a Lucca. Nel 730 d.C. circa venne nominato un signore locale, il “comes” (conte) Ratcauso, inviato nel territorio soprattutto con l’incarico di difendere le risorse minerarie dagli attacchi dei pirati. Castagneto è nominato per la prima volta in un documento del 754 d.C., nell’elenco dei beni dati in dotazione alla nascente Abbazia di Monteverdi, fondata dal figlio di Ratcauso, Walfredo. Bolgheri viene citata per la prima volta in una bolla papale del 1075, col nome di Sala del Duca Allone, quando già i Franchi avevano preso il sopravvento sui Longobardi. La presenza del castello è segnalata nel 1158. Altri castelli sorsero sulle colline intermedie: il Castello di Castiglioncello di Bolgheri e quello di Segalari.

I pochi resti attuali della Torre di Donoratico (non l’attuale Donoratico, che è nato a fine Ottocento) segnano invece un sito di lunghissima stratificazione abitativa. Vi ricordate che ne ho già parlato in epoca etrusca e poi in quella romana (qui)? Gli archeologi vi hanno trovato anche resti di capanne della prima epoca longobarda (dette grubenhaus), della metà circa del VIII sec. Più tardi il villaggio di capanne divenne un piccolo borgo fortificato e poi un castello. Questo luogo fu definitivamente abbandonato nel XVI secolo, forse a seguito di un assedio o di una pestilenza (o entrambi). Questo abbandono definitivo, dopo millenni di continuità abitativa, rimane un mistero per gli studiosi.  [/info_box][/one_third]

I nuovi insediamenti di collina non comprendevano quasi mai edifici religiosi. Le chiese rimasero per lo più dove erano nel Tardo Impero, in pianura, vicino alle principali vie di comunicazione romane. Questa è un’altra caratteristica tipica del paesaggio di campagna toscano:  villaggi di altura e chiese pievane di pianura, dove si incontravano anche abitanti di diversi insediamenti. Solo più tardi, dopo il IX-X secolo, le chiese entreranno nei villaggi, costruite dai nuovi signori come segno di prestigio.

 

La Maremma dei boschi

In tutta Europa, in quest’epoca, il bosco si riprese buona parte del territorio, in quel fenomeno generalizzato detto “reazione boscosa”, durato almeno fino al X secolo. Allo stesso tempo il bosco divenne il centro dell’economia, per via di un’agricoltura ormai secondaria. Nel nostro territorio, dove l’agricoltura non si svilupperà mai più di tanto almeno fino al XIX secolo, il bosco rimase centrale molto a lungo. Ancora oggi domina buona parte delle nostre colline e della cultura del territorio.

Nel bosco si raccoglieva la legna per tutti gli usi, prima solo di sussistenza, poi divenne un’importante risorsa economica, il cui monopolio era nelle mani dei governi e dei loro feudatari. Il legname ed altri prodotti erano trasportati via mare da porti naturali lungo la costa, posti spesso agli sbocchi dei torrenti: il Renaione, il Seggio, la Bassa (a mezzo miglio a sud del Forte), il Paradù. Oggi sono bellissime località balneari.

Nei boschi si cacciava e si raccoglievano i frutti spontanei. Qui da noi erano molti estesi i castagneti (non a caso il capoluogo del comune si chiama Castagneto), ben più di oggi. Le querce davano le ghiande, usate per gli animali ma anche per l’uomo. Dal frassino si prendeva la manna, un dolcificante estratto per secoli in Maremma. La raccolta finirà all’inizio dell’Ottocento, quando divenne comune il consumo di zucchero di canna importato. Poi c’erano vari frutti: more di rovo, corbezzoli, funghi, ecc. Il bosco è stato per secoli il regno dei carbonai, sia per una produzione d’uso domestico che per l’alimentazione dei forni fusori del ferro, una delle principali risorse economiche da sempre delle nostre terre.

Gli animali erano per lo più allevati allo stato brado nei boschi e nei pascoli incolti. La predominanza era dei maiali, lasciati nei boschi quasi tutto l’anno e messi in stalla solo d’inverno. A lungo sono stati la principale fonte di grasso, in sostituzione all’olio d’oliva, la cui coltivazione era in decadenza dopo l’epoca romana.

Le boscaglie semi-paludose dell’area costiera erano invece adatte all’allevamento brado dei bufali, gestiti dai bufalai e dai butteri. La presenza del bufalo selvatico è molto antica, testimoniata almeno in epoca romana. Eppure il naturalista francese Buffon nel XVIII scrisse che il bufalo fu introdotto in Italia dai Longobardi e in diversi testi viene riportata questa teoria. I bufali girovagarono per la nostra pianura fino ai primi decenni dell’Ottocento, quando si passò ad un allevamento solo nelle stalle. Oggi è completamente scomparso.

 

Giovanni Fattori "Conduttori-di-mandrie", 1907
Giovanni Fattori “Conduttori di mandrie”, 1907
La Maremma dei contadini e dei nobili

La prima aggregazione dei villaggi, nati nel periodo di vuoto di potere, diede il via a comunità contadine più o meno paritarie, dove spesso l’agricoltura era gestita in modo comunitario o per famiglie.

La trasformazione dei villaggi in nuclei fortificati avvenne più o meno fra il IX e XI secolo, col riaffermarsi anche di una gerarchia di potere locale. Secondo gli studiosi, alcune figure indussero le famiglie più deboli a cedere le proprietà in cambio di protezione, accumulando nel tempo ricchezze, prestigio e cariche decisionali. L’accentramento comprese anche le terre agricole, con la nascita della proprietà fondiaria, che divenne sempre più grande, organizzata intorno alle curtes (corti). L’azienda curtense era simile al colonato del tardo Impero Romano (che ho spiegato nella parte finale di questo articolo). Era suddivisa in piccoli mansi, affidati ai coloni. Una parte dei campi era invece gestita direttamente dal signore, con il lavoro di servi e delle corveé obbligatorie dei contadini.

La mezzadria, che avrà un ruolo centrale in buona parte della Toscana a partire dall’anno mille, qui si diffuse tardissimo, non prima del XVIII-XIX sec. I contadini della Maremma non hanno vissuto quasi mai nelle campagne, se non in epoche recenti, per via anche delle frequenti incursioni dei pirati, come testimoniato dalle tante torri di avvistamento disseminate lungo la costa. I coloni lavoravano di giorno nei campi e di notte rientravano al sicuro delle mura fortificate del borgo. Questo antico uso li priverà a lungo del diritto alla casa colonica e al bestiame.

La povertà dilagante e la lunghissima impostazione feudale hanno polarizzato per secoli le classi sociali locali, non permettendo per molto tempo la nascita di classi intermedie che, ovunque, sono state promotrici delle trasformazioni e degli sviluppi dei territori.

[one_third][info_box title=”” image=”” animate=””]Alla fina dell’età longobarda e carolingia si affermano nuovi protagonisti lungo la nostra costa: le famiglie dei conti (Aldobrandeschi, Ardengheschi, Gherardeschi, ecc…) e i vescovi delle diocesi maremmane, i cui poteri, su uomini e terre, disegnano un nuovo ordinamento.

I conti della Gherardesca iniziano la loro storia certa con la metà del XII secolo, quando il territorio passò sotto la Repubblica di Pisa, e mantennero il potere anche col passaggio successivo sotto la Repubblica Fiorentina (inizio XV secolo). I tre centri principali divennero in questo periodo comuni autonomi: Donoratico (non quello attuale, ma sulla collina) (1407), Bolgheri (1409) e Castagneto (1421), in continuo conflitto con i conti. La sua residenza era il castello di Castagneto e per questo divenne il capoluogo della Comunità.[/info_box][/one_third]

Visto che tutto o quasi apparteneva ai fedautari, l’accesso ai beni del territorio da parte delle comunità era regolamentato dagli  “usi civici”, diritti di uso da parte degli abitanti per il pascolo, la raccolta nel bosco, la pesca, ecc.  Alcuni erano diretti discendenti dei diritti sul demanio pubblico di epoca romana, altri erano novità. Ad esempio, dopo la raccolta del proprietario nel castagneto, era concessa la raccolta dei poveri, detta “ruspo”. C’era lo “ius pascendi”, che permetteva di far pascolare il bestiame nei terreni dove il proprietario aveva già fatto il raccolto. Lo “ius lignandi” permetteva di raccogliere nei boschi del signore o del comune un po’ di legna per gli usi famigliari. Non era mai possibile la caccia, soprattutto di animali di grossa taglia, che rimaneva esclusiva dei signori. La contesa dei diritti di uso fra le comunità locali e le famiglie nobiliari furono occasione di numerose dispute e scontri fino a metà Ottocento.

 

Dal XIII secolo circa in poi, nella Maremma fatta di povertà e di fortissime disuguaglianze sociali, nacque anche il brigantaggio, che il deputato fiorentino Oreste Massari, nell’Ottocento, definì come “la protesta selvaggia e brutale della miseria contro le antiche e secolari ingiustizie”. La massima concentrazione di briganti fu nella Maremma più a sud, vicino al confine con lo Stato Pontificio, luogo di maggiori traffici. La fine del brigantaggio maremmano viene fissata con l’uccisione dell’ultimo grande brigante, Domenico Tiburzi, nel 1896.

 

La Maremma della transumanza.
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Le colline fra Bolgheri e Castagneto (foto Marco Bicci)

Comunque, il periodo di relativa pace del primo Medioevo portò in tutta Italia un innalzamento della popolazione. Si tornò ad avere una contrazione dei boschi a favore dell’agricoltura. In Maremma però durò poco e non ebbe molti effetti positivi. Ad esempio, non si fece nulla per bonificare le aree acquitrinose che, anzi, si allargarono ancora di più dopo la decadenza politica seguita alla sconfitta di Pisa del XIII sec.

L’inizio della Piccola Glaciazione, all’inizio del 1300, portò carestie ed epidemie, come quella della Peste Nera. La Toscana ne fu colpita duramente. In Maremma la popolazione diminuì dell’80%. Il caso più eclatante fu Grosseto, che passò da 1200 a 100 abitanti. A Castagneto la popolazione venne praticamente dimezzata. La povertà del territorio e le difficoltà resero la Maremma un territorio sempre scarsamente popolato. I governi cercarono a più riprese, anche nei secoli successivi, di stimolare l’immigrazione, senza molto successo.

I luoghi incolti ed i boschi erano utilizzati da sempre per la pastorizia e la transumanza ma dal Basso Medioevo, con l’abbassamento della popolazione, questo divenne un vero business per i governi ed i loro feudatari. L’affitto dei pascoli dilagò, influendo in modo determinante sul mancato sviluppo agricolo della Maremma.

Nell’Alta Maremma arrivavano greggi dal Casentino, dal Mugello, da Lucca, da Bologna e fin da Perugia, attratti dal clima mite locale, dal tardo autunno fino all’inizio della primavera. Veniva pagava una tassa per ogni capo, detta “fida”, per cui i pascoli affittati erano detti “fidati”, regolati in modo centralizzato dalla “Dogana di pascolo”. Le Bandite, termine che si trova in diversi toponimi locali, erano alcuni pascoli che rimanevano riservati all’uso dei residenti. Le “bandite per usi” erano gratuite, mentre le “bandite per fida” richiedevano comunque una tassa.

Questa economia fu incrementata ancor di più dal XVI secolo in poi. Il paesaggio venne sempre più pesantemente modificato dall’aumento delle greggi transumanti e dall’uso dell’incendio (qui detto “debbio”, anch’esso rimasto nei toponomi) per il loro allargamento. La grande diffusione della macchia mediterranea che c’è ancora oggi sulle colline, cioè la vegetazione colonizzatrice dopo che un bosco è stato distrutto dal fuoco, è segno di un ambiente molto poco naturale, frutto dell’azione costante dell’uomo.

La macchia mediterranea è una fase intermedia dell’evoluzione della vegetazione spontanea nel nostro ambiente. Le fasi sono le seguenti. Il ciclo si può concludere se non subentrano disturbi esterni. Dopo un incendio rinascono le piante erbacee e si forma la prateria. Dopo di che si sviluppano piccoli arbusti (come la fillirea, il timo, il cisto, ecc.). In terreni dove questi arbusti sono inframmezzati da numerose rocce (e non si andrà molto oltre), si parla di gariga. Quando gli arbusti diventano predominanti, abbiamo la macchia bassa. Poi possono subentrare arbusti più alti (corbezzolo, mirto, ginestra spinosa, lentisco, ecc.), che formano la macchia alta, quella che nel linguaggio comune si identifica di più col nome di macchia mediterranea. Fra questi arbusti alti, ad un certo punto diventeranno sempre più numerosi dei veri e propri alberi (la roverella, il leccio, il pino d’Aleppo, ecc.). Questa formazione mista si chiama forteto. Poi gli alberi diventano sempre più predominanti e si arriva all’evoluzione finale, il bosco vero e proprio.

Una Maremma che, con difficoltà, si avvia a diventare agricola.

La Repubblica Fiorentina divenne poi Granducato mediceo (1569), ma la situazione non cambiò molto e furono mantenute le stesse impostazioni feudali. Nel 1737 subentrò alla guida del Granducato di Toscana la dinastia degli Asburgo-Lorena. Verso la fine del secolo s’aprì una prima epoca di riforme, alcune delle quali contribuirono un po’ a muovere la stagnante situazione sociale e portarono finalmente alla nascita di una nuova (piccola) classe di proprietari agricoli. Dal 1799 al 1814 la Toscana fu occupata dai francesi. Questo comportò l’abolizione dei feudi ed i conti divennero proprietari a tutti gli effetti. Dopo di che tornarono i Lorena. Cercarono di stimolare la coltivazione degli incolti, incentivando di fatto però ancora la grande proprietà terriera.

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Le vigne di oggi con sullo sfondo i resti della torre del castello di Donoratico (foto di Roberto Nencini)

Nel Seicento e nel Settecento, i conti, per via delle basse rendite delle terre, furono spinti anche a farle fruttare di più con affitti o cessioni, che diedero il via ad un primo allargamento dell’agricoltura. Era un timido inizio: infatti ancora a metà settecento la pianura era occupata per buona parte da aree boscose e paludose, le colline dai boschi e dai pascoli.

Il ramo dei conti di Bolgheri aumentò gli affitti ai coloni. Questi iniziarono i primi disboscamenti vicini al villaggio, per scopi agricoli. I contadini rimanevano però ancora senza diritto alla casa colonica ed al bestiame. Erano detti mezzaioli e dovevano dividere i prodotti a metà col proprietario. Un altro tipo di contratto, il cui nome è rimasto nei toponimi locali, era il “terratico”, in cui l’accordo era che per ogni sacco di grano avuto per la semina, il proprietario aveva indietro due sacchi del prodotto. A fine ‘600 il conte si riprese alcune delle terre affittate, per iniziare ad occuparsi anche personalmente di agricoltura.

Nell’area intorno a Castagneto, sotto un ramo diverso della famiglia della Gherardesca, invece si ebbero più le “allivellazioni”. Il “livello” era un tipo di contratto agrario nato in epoca longobarda, simile all’enfiteusi romana. Era un affitto più vantaggioso per l’agricoltore, spesso di lunga durata, col quale il contraente godeva pienamente del bene in cambio di un canone in denaro (un po’ più simile agli affitti moderni). C’era l’obbligo di migliorare il fondo ma anche la possibilità di riscattare la proprietà o di vendere il livello. Di fatto, spianava la strada all’acquisizione della proprietà.

Le prime rare allivellazioni risalgono al Seicento, dette “vecchie allivellazioni”. Nel 1784, il granduca Pietro Leopoldo allivellò diversi beni ecclesiastici e comunitari. Nel 1788 ci furono i “livelli antichi”, con cui i della Gherardesca diedero diverse terre ai castagnetani in cambio della cessione degli usi civici della comunità. L’ultimo risale al 1849, quando il conte cedette al comune diversi terreni che poi, a sua volta, allivellò ai cittadini. Ad ogni allivellazione, si aveva una trasformazione del paesaggio, con la crescita delle coltivazioni agricole.

In questo periodo l’agricoltura, fino ad allora praticamente di sussistenza, iniziò finalmente a crescere. Si coltivava principalmente la classica triade: grano, vite e ulivo. A fine Settecento si sviluppò anche la coltivazione del mais, portato dai lavoratori stagionali detti “lombardi” (anche se principalmente arrivavano dell’Appennino tosco-emiliano).

Questo timido incremento agricolo non fu però facile: ci si mise di mezzo anche la natura. Per quasi tutto il Settecento la regione fu periodicamente invasa dalle cavallette, catastrofe biblica sconcertante, mai successa prima e finora mai ripetuta (per fortuna). A Piombino, il 23 giugno 1711, verso le ore 18.00, comparve sul mare una massa scura e una nube di locuste ricoprì rapidamente tutta la campagna. Le invasioni di cavallette si ripeterono periodicamente fino al 1786, allargandosi fino a Castagneto e a Sassetta, a sud fino a Massa Marittima e Gavorrano, distruggendo numerose terre coltivate.

Nella seconda metà del Settecento il granduca spinse alla realizzazione delle prime case coloniche che, per questo motivo, furono chiamate “leopoldine”. Purtroppo, per limitare i costi, furono depredati resti di edifici abbandonati. Scomparvero così praticamente tutti i reperti ancora esistenti di epoca antica, come gli ultimi tratti originari della via Aurelia ed i resti di ville romane. Vi ricordate della lapide di cui vi ho parlato qui? Fu ritrovata nel muro di una stalla. A metà Ottocento scomparvero in questo modo anche i resti della villa romana detta Del Mosaico (vedi qui).  Lo stesso successe per i resti di edifici medievali come l’abbazia di Santa Maria in Aschis, San Colombano, parti del Castello di Donoratico (all’epoca i resti erano molto più estesi di oggi), ecc.

Accusati dal Granduca di tenere male le loro terre, i conti iniziarono a fare anche le prime opere di bonifica delle aree paludose e di miglioramento della viabilità. A fine Settecento iniziò la costruzione di quello che diventerà il famoso viale dei cipressi di Bolgheri.

 

Qui ci fermiamo, alle soglie del periodo della più grande trasformazione del territorio. Vedremo poi come l’Ottocento fu il secolo della prima importante espansione della viticoltura nel nostro comune.

Qui finisce formalmente l’epoca, per il nostro territorio, della Maremma aspra e selvaggia.

L’ampliamento della bonifica e lo sviluppo di colture specializzate dell’Ottocento trasformarono definitivamente questo territorio in agricolo, facendolo uscire da quella che era la definizione dell’epoca di Maremma, la cui appartenenza era allora ritenuta disonorevole:

“da disdegnare a ragione l’antico e diffamato nome” (Beccarini, 1873).

 

 

 

“Il paesaggio come risorsa”, di Mauro Agnoletti, Edizioni ETS, 2009.

“Vini Bolgheri e altri vini di Castagneto”, di Luciano Bezzini, Enrico Guagnini. Casa Editrice Le Lettere, 1996.

“Dominare e gestire un territorio: ascesa e sviluppo delle signorie forti nella Maremma toscana centrosettentrionale tra X e XII secolo”, Giovanna Bianchi, Archeologia Medievale, XXXVII, 2010, pag. 93-103.

“Castello di Donoratico, i risultati delle prime campagne di scavo (2000-2002), a cura di Giovanna Bianchi, Ed. All’Insegna del Giglio, 2004

“Il discorso del vino”, di Pietro Stara, ed. ZeroinCondotta, 2013

“L’insediamento altomedievale nelle campagne toscane”, di Marco Valenti, Ed. All’Insegna del Giglio, 2004

“Storia del paesaggio agrario”, di Emilio Sereni, Ed. Laterza, 1961