Se dai social vi siete fatti l’idea che la vigna si curi con un po’ di galline e musica, fermatevi pure qui.
La primavera per il vignaiolo non è solo fiorellini e farfalline, è invece la stagione dell’ansia (“gela?”), delle lamentele (“piove poco… piove troppo”), della lotta perpetua con l’erba, delle ore infinite sul trattore (la musica, qui, sì che aiuta),…
La lotta biologica alla tignoletta invece è una forma di fitness e relax, che aiuta anche a smaltire le uova di Pasqua. Si fa camminando per un po’ di km su e giù per i filari, con il canto degli uccelli e il piacevole ronzio degli insetti nelle orecchie, per piazzare in vigna quegli affarini rossi che servono a sconfiggere il terribile insetto, prima che si risvegli.
Stiamo parlando della Lobesia botrana, volgarmente detta tignoletta, che sembra una simpatica e non troppo appariscente farfallina, ma è il parassita animale più dannoso della vigna (in modo diverso a seconda della zona, del sistema d’allevamento e del vitigno).
È un lepidottero che passa l’inverno come crisalide da cui, fra aprile e maggio, emerge l’adulto. Si dice che “sfarfalli”. Questa prima apparizione in vigna è definita “primo volo”, perché purtroppo ne farà anche altri. Dopo l’accoppiamento la femmina depone le uova. Le larve che nascono mangiano un po’ dei bottoni fiorali della vite. Non è questo il pericolo maggiore, in questa fase i danni non sono così importanti.
Segue di nuovo la fase di crisalide, questa volta molto più rapida. Da essa emerge una nuova generazione di adulti che attua il “secondo volo” d’accoppiamento (a luglio, in genere). Le uova questa volta sono deposte sugli acini acerbi e questa è la fase più dannosa. Le larve penetrano nell’acino e lo danneggiano. Nel Nord d’Italia il ciclo finisce qui, mentre nel centro-sud ci può esserci anche una terza generazione sul grappolo maturo, fra agosto e settembre.
La tignoletta è responsabile di danni diretti ma con la sua azione favorisce anche altre malattie. Infatti, anche nel caso in cui l’acino non fosse troppo danneggiato, attraverso i micro-fori che causa sulla buccia permette l’ingresso di funghi e batteri che possono sviluppare muffe e marciumi del frutto.
Anche se le fasi peggiori sono quelle estive, ormai si è visto che è meglio colpire la tignoletta subito all’inizio, al primo volo, così da evitare o contenere al massimo le generazioni successive.
Si parla di lotta biologica quando si usano sistemi basati su organismi viventi o sistemi derivati del loro ciclo vitale. Nel caso della tignoletta si attua la cosidetta “confusione sessuale”, cioè si va a disturbare il momento del primo accoppiamento, impedendolo o riducendolo sensibilmente. Così il ciclo della tignoletta viene stroncato sul nascere.
E qui entrano in scena gli “affarini” rossi di cui ho scritto all’inizio, che distribuiamo in vigna. Sono dei diffusori (biodegradabili) di una sostanza, un feromone, lo stesso che viene rilasciato naturalmente della femmina di tignoletta come segnale per guidare il maschio nell’accoppiamento. Questi diffusori lo liberano nell’ambiente, andando a confondere il maschio ed impedendo (o limitando fortemente) l’incontro con la femmina.
Siccome vogliamo essere sicuri che il nostro lavoro ginnico sia servito a qualcosa e che i poveri lepidotteri non abbiano veramente proliferato, per il resto della primavera ed estate si piazzano in vigna dei sistemi di sorveglianza, trappole collose col solito feromone a fare da attrattore.
Niente paura: di norma funziona, la trappola è però una precauzione importante per non avere brutte sorprese.
Se la conta degli insetti nelle trappole rimane sotto la soglia di rischio, non si fa nulla (non è necessario sterilizzare la vigna!). Nell’infausta evenienza (finora mai verificata da noi) che si superi tale soglia, si deve purtroppo usare un insetticida, derivato dal Bacillus thuringensis. È l’arma di riserva, comunque, perché nella viticoltura integrata e sostenibile la prevenzione è sempre meglio della cura!
Nel nord dell’Italia (per cui non ci riguarda direttamente) crea problemi anche un altro lepidottero, la tignola (Eupoecilia ambiguella). Le problematiche sono molto simili a quelle della tignoletta, con un ciclo fatto in genere da 2 generazioni. Anche qui è molto usata la lotta biologica.
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