Se ne parla tanto oggi, a volte anche a sproposito, trascurando forse gli altri (mille e più) parametri fondamentali per produrre un ottimo vino di territorio. Purtroppo, quando un argomento diventa terreno del marketing più spinto, diventa difficile parlarne con serenità. Purtroppo non si sprecano anche le bufale, a volte così belle e poetiche da far enorme presa nell’immaginario collettivo.
Eppure il lievito non è “nato ieri” ma accompagna l’uomo da almeno 10.000 anni in tante trasformazioni alimentari, anche se l’uso è stato inconsapevole per millenni (vedete qui e qui). Solo nella seconda metà dell’Ottocento Pasteur dimostrò il ruolo dei microrganismi nelle fermentazioni e anche nelle alterazioni del vino (qui e qui). Da allora è iniziato il cammino, ancora in corso, di comprendere questa affascinante e complicata trasformazione.
Ci sono ancora tante cose da scoprire e capire. Eppure non siamo più all’epoca in cui la fermentazione era un processo misterioso intorno al quale nascevano anche tante superstizioni, riti scaramantici ed interpretazioni magiche (alcuni dure a morire anche ai nostri giorni). Sappiamo che la fermentazione alcolica è condotta soprattutto dai lieviti del genere Saccharomyces, come il famoso S. cerevisae o il S. bayanus, che a loro volta possono essere rappresentati da diversi ceppi. Questi sono anche i lieviti più adatti a sopportare l’accumulo di etanolo che si crea dalla trasformazione degli zuccheri. Infatti sono gli unici a rimanere in vita e a condurre il processo fino al termine. Questo fatto li rende (quasi) indispensabili.
Non sono però i soli: nel mosto –vino c’è una ricca biodiversità di lieviti e batteri che intervengono più o meno positivamente.
Per fare qualche nome, possiamo ricordare la Candida pulcherrima (bellissima!), i generi Pichia, Cryptococcus, Rhodotorula, Kloeckera… Sono in genere più sensibili all’alcool, per cui molti non riescono a sopravvivere se non nelle fasi iniziali. Eppure sono importanti: è stato dimostrato che questi non-saccharomyces influiscono molto sulle caratteristiche aromatiche del vino, sia positivamente che (a volte) negativamente. Se ben gestiti, donano al vino note uniche, contribuendo in modo significativo alla complessità e personalità del prodotto. Se mal gestiti, possono portare a puzze, acidità volatile eccessiva, ecc. , a far nasce vini veramente poco gradevoli.
Da dove vengono i lieviti?
I lieviti, come tanti microrganismi utili o dannosi, si trovano un po’ ovunque in natura. Sono stati fatti diversi studi per cercare di capire questo punto, al di là di tanti “simpatici” voli di fantasia cari al marketing. Le ricerche degli ultimi 10 anni hanno dimostrato che molti microorganismi sono presenti sull’uva. La loro quantità e diversità dipende molto da come si è gestito il vigneto, dalla temperatura e dallo stato di sanità dei frutti. Si è visto anche che questo mix di microorganismi cambia con l’annata, è caratteristico del micro-territorio (la vigna) e la varietà di vite. Per questi motivi è stato incluso nel cosiddetto terroir viticolo.
Non è facile però stabilire le quantità e qualità in singole prove empiriche. Si è visto infatti che i campionamenti cambiano molto, pur nella stessa vigna, se fatti in un modo o nell’altro. Solo confrontando un numero elevatissimo di studi diversi è possibile trarre delle conclusioni più generali. (Questa si chiama RICERCA, fatta per bene).
Sulla superficie di un acino perfettamente integro ci sono pochissime sostanze nutritive per cui qui si trovano pochi microorganismi, quelli un po’ pionieri, capaci di sopravvivere in questa situazione limitante. Molti di questi non sono i microrganismi che conducono la fermentazione alcolica perché per vivere dipendono dall’ossigeno. La fermentazione alcolica invece è una reazione che avviene in assenza di questo gas (si dice “in anaerobiosi”).
La maggior parte dei microorganismi che interessano la fermentazione si trovano soprattutto su acini danneggiati (per i più diversi motivi). Infatti solo con la fessurazione della buccia possono trovare quei composti nutritivi essenziali per la loro sopravvivenza e l’ambiente adatto per loro.
Qui serve però un distinguo: parafrasando i latini dobbiamo dire che “in minimo stat virtus”. È vero che l’uva più danneggiata ha un biodiversità e carica microbica maggiore, ma questo non significa che sia la condizione migliore per la vinificazione, attenzione! In un’uva molto sana (la migliore da vinificare) c’è comunque una piccola percentuale di acini con micro-fessurazioni da portare una quantità più che sufficiente di microrganismi in cantina. L’uva poco sana è sempre negativa, sia per le proprie caratteristiche non ottimali che per una carica microbica fortemente alterante.
Comunque le ricerche hanno dimostrato che questa piccola folla che ci portiamo in cantina nei cesti d’uva è composta soprattutto dai fermentatori delle prime fasi. Clamorosamente è pochissimo rappresentato quello che diventerà il protagonista quasi assoluto quando il “gioco” si farà duro: il Saccharomyces!
Da dove arriva allora?
(prosegue)