Nel corso del III secolo a.C. il territorio passò sotto la dominazione romana, in modo non così traumatico come altrove (come poi racconterò).
La produzione locale di vino in questa epoca è ben documentata, grazie al ritrovamento dei resti di numerose villae, le aziende agricole di allora, che producevano appunto vino, olio d’oliva e cereali. Erano localizzate nella stessa area dove sorgono la maggior parte delle aziende odierne: la fascia pedecollinare e di alta pianura fra Bolgheri e Castagneto.
Un’anfora da vino in argento:
L’oggetto di epoca romana più iconico della nostra costa è una preziosa anfora da vino in argento, un pezzo unico della seconda metà del IV sec. d.C. Fu ripescata dal mare, nel Golfo di Baratti, da un pescatore nel 1968. Poteva contenere 22 litri di vino. Presenta delle finissime decorazioni, 132 ovali in ciascuno dei quali è raffigurata una figura diversa. Si tratta di divinità, personaggi legati al culto di Cibele, al mito di Paride, menadi e baccanti. L’anfora doveva essere dotata di manici, purtroppo mai ritrovati. È custodita al Museo del Territorio di Piombino.
Viaggiando per antiche strade.
Il nostro territorio (nel rettangolo nero della cartina, più o meno in mezzo fra Populonium e Vada Volaterrana), in epoca romana come in quella etrusca, non presentava centri di rilievo.
Era essenzialmente, come ancora oggi, una striscia di terra agricola, stretta da una fila di colline ad est e dal mare ad ovest. Non c’erano allora le pinete costiere, oggi così caratteristiche: saranno piantate dall’uomo molti secoli più tardi.
In epoca antica era comunque un tratto di costa ben popolato, con la prevalenza di fattorie e villaggi. Nell’epoca romana nacquero anche numerose villae agricole ed aumentarono notevolmente le superfici delle terre coltivate. Furono recuperate diverse aree boschive, con la pratica antica dell’incendio. Verso il mare, invece, furono estesi i lavori di bonifica delle aree paludose costiere, già iniziate dagli Etruschi.
[one_third][info_box title=”Il centro amministrativo” image=”” animate=””] In cima a questa collina dominava una fortezza, nata in epoca etrusca e rimasta anche in quella romana. Questo luogo presenta una continuità abitativa che va dalla Preistoria fino al Medioevo, epoca in cui prese il nome di castello di Donoratico (quello che vedete è quanto rimane della torre medioevale). Era un sito evidentemente strategico, trovandosi sulla sommità di una delle prime colline verso il mare, inclinata in modo da avere visuale su tutta la costa in direzione nord. Divenne una fortezza a metà circa del IV secolo a.C., una di quelle che Populonia utilizzava per il controllo capillare e la difesa del suo territorio. Occupava una superficie di circa 7000 mq, contornata da un’imponente cinta muraria.
In epoca romana perse la sua funzione originaria e divenne il centro amministrativo del territorio, nel quale nascevano sempre più insediamenti agricoli. Purtroppo il sito è chiuso, posto in una proprietà privata. [/info_box][/one_third]
In epoca etrusca sul nostro territorio dominava Populonia. Nella nuova era romana il baricentro del potere si spostò su Volterra (Volaterrae). Eravamo infatti parte di quello che veniva chiamato l’ager Volaterannus, la campagna di Volterra, che partiva da noi ed arriva più su, fino al promontorio di Castiglioncello, e dentro nella Val di Cecina. Era un territorio agricolo non ricchissimo ma, come andremo a vedere, eccezionalmente stabile in tutto il periodo romano, da un punto di vista sia sociale che economico.
Uno dei cambiamenti più importanti della nostra costa, nell’epoca romana, fu sicuramente la costruzione della via Aurelia (in blu nella cartina), che tagliava in due la pianura agricola. Si trattava di una delle grandi strade consolari romane, nata sulla base della precedente viabilità etrusca. Oggi non è rimasto nulla dell’antica strada. Le ultime testimonianze di tratti originali risalgono al Settecento. Il tracciato antico non era però molto diverso di quello dell’attuale strada statale Aurelia SS1 (non della variante). Si pensa che fosse solo un po’ più nell’entroterra. Questa via nacque nel III secolo a.C., per collegare Roma con Cerveteri (Caere nella mappa). Con la conquista del resto dell’Etruria poté poi proseguire fino a Pisa (Pisae). Qui rimase ferma per un po’, per la difficoltà di superare le paludi della Versilia (le Fossae Papirianae) e per l’opposizione tenace delle popolazioni montanare delle Apuane. Fu completata verso la Liguria solo nell’età di Augusto (I sec. d.C.).
Il centro abitato più importante a sud era ancora Populonia (in latino Populonio o Populonium), l’etrusca Pupluna (o Fufluna). Nel corso di questo periodo la potente città andò sempre più in declino anche se, per i primi secoli, rimasero ancora importanti sia il porto (nel Golfo di Baratti) che il distretto minerario, per via del ferro utile per approvvigionare di armi gli eserciti. Da una sua “costola” nacque in questo periodo un altro piccolo porto, Falesia, da cui nel Medioevo si svilupperà Piombino.
Dal III secolo d.C. smisero anche le attività estrattive e Populonia divenne praticamente un villaggio. Nel IV secolo dell’antica e gloriosa città non restavano che rovine, come racconta Claudio Rutilio Namaziano, che, tornando da Roma alla natia Gallia, viaggiò via nave lungo la costa nel 415 d.C.
“Vicinissima, Populonia schiude il suo lido scuro portando la baia naturale entro i campi. …
I monumenti del passato non si possono vedere più: il tempo che divora ha consumato baluardi grandiosi.
Fra i crolli delle mura restano solo tracce; tetti sepolti giacciono sotto l’estensione delle rovine.
Non indigniamoci che i corpi mortali si dissolvano: vediamo bene, da esempi come questo che possono morire le città.”
Claudio Rutilio Namaziano, 417 d.C. (De Reditu suo, Il Ritorno, I, versi 401-414)
La stazione di posta sull’Aurelia era ad Aquae Populoniae, ora Venturina, dove ci sono ancora oggi le terme. La prima località successiva era Vada Volaterrana, più o meno l’attuale Vada (oggi un piccolo centro a nord di Cecina), l’antico porto di Volterra, stazione di posta ed anche baricentro di un’area di saline.
Alle spalle di Vada, nell’entroterra della Val di Cecina, stava Volaterrae (Volterra), l’antica etrusca Velathri. Come detto, la potente città, a differenza di Populonia, seppe conquistarsi uno spazio importante anche in questa nuova era. Fra l’età di Cesare e quella di Augusto divenne Colonia Augusta, centro politico e militare a capo di tutta la nostra costa, attraversando un periodo di grande prosperità. In epoca Imperiale andò però in declino, ormai tagliata fuori dalla viabilità principale.
Una romanizzazione “soft”.
Come detto, la romanizzazione qui fu meno traumatica che altrove, soprattutto nelle zone di campagna, grazie al grande lavoro di mediazione che seppero fare le famiglie aristocratiche locali. Dopo un po’ di alti e bassi nei rapporti con Roma, riuscirono a mantenere le loro posizioni di potere, oltre che la stragrande maggioranza delle proprietà terriere.
In altre zone dell’Etruria (e non solo) la colonizzazione avvenne secondo un modello più brutale: le terre erano sottratte ai vecchi proprietari, erano centuriate* e spartite a piccoli lotti ai veterani degli eserciti di Roma. Le vecchie famiglie etrusche sparivano dagli orizzonti del potere. La nuova classe dirigente poi allargò le proprietà a discapito dei piccoli agricoltori e nacquero le villae, aziende agricole specializzate, basate essenzialmente sul lavoro schiavistico e abbastanza distaccate dal contesto territoriale.
Nel nostro territorio questo modello di colonizzazione avvenne solo in modo marginale. I proprietari terrieri rimasero per lo più le famiglie aristocratiche etrusche precedenti, radicate da secoli, legate ai possedimenti terrieri e allo sfruttamento minerario. Ormai però non vivevano più nelle campagne ma per lo più a Volterra, il centro del potere locale, o addirittura a Roma, come i Caecinae, la famiglia più potente del luogo (romanizzazione del nome etrusco Ceicna).
*Centuriazione: il territorio conquistato era suddiviso nelle centuriae, quadrati con un lato di 710 m ed una superficie di circa 50 ha, che erano la base capillare del sistema agrario, sociale, economico, giuridico ed amministrativo romano. Questa sorta di scacchiera era definita da due linee fondamentali: il decumanus (in genere tracciato in direzione est-ovest) e il cardo (in genere nord-sud). Altre linee secondarie potevano suddividere le centurie in unità ancora più piccole. Una volta effettuate le operazioni di centuriazione e di assegnazione delle terre, il territorio veniva rappresentato su mappe chiamate formae (come le nostre mappe catastali), conservate in duplice copia a Roma e nel capoluogo della provincia.
Non erano solo linee ideali: su di esse nascevano le recinzioni o le siepi di confine, oltre che la viabilità pubblica secondaria e quella vicinale che porta ai poderi, fino al sistema più ampio degli acquedotti e delle strade principali. L’antica tracciatura romana del territorio è rimasta quasi immutata fino ai nostri giorni in diverse parti d’Italia.
A cavallo fra l’epoca etrusca e la romanizzazione, anche qui le grandi proprietà terriere evolvettero verso il modello della villa agricola romana. Non erano però le proprietà di conquistatori ma dei discendenti delle storiche famiglie gentilizie locali, che quindi continuarono a coesistere in modo equilibrato con le comunità del territorio.
Non furono villae basate sul sistema schiavistico. Sembra che i proprietari terrieri locali si avvalessero principalmente del lavoro degli abitanti dei vicini insediamenti, ai quali erano legati da rapporti di antica clientela etrusca.
Mantennero anche un rapporto diverso con i piccoli agricoltori che qui non diminuirono ma, viceversa, crebbero di numero. Tra il III e il II secolo a.C. si è registrato un boom di nuove piccole fattorie del territorio: ne nacquero ben 26. Non si sa se questi agricoltori fossero proprietari o meno, molto più probabilmente erano affittuari di fondi messi a disposizione dai nobili.
Anche l’agricoltura non cambiò più di tanto. L’Etruria e Roma avevano in comune la stessa matrice agricola originaria, già descritta qui. Era fatta di filari di viti maritate agli alberi e di ulivi, alternati a strisce di terreno dedicate ai seminativi. I Romani, oltre che tracciare linee e confini, non modificarono di molto la sistemazione idraulica e di lavorazione di fondo dei campi, salvo introdurre l’impianto delle viti con scassi a trincee (piccole fossette). Comunque conosceremo in modo più approfondito la viticoltura romana e le sue importanti evoluzioni più avanti.
La villa bolgherese di un nobile volterrano
Poco lontano da noi lungo la via Bolgherese, in località il Puntone di Bolgheri, c’era una villa romana, ormai scomparsa. Oggi lì c’è la vigna del nostro amico Valerio Cavallini (azienda Campo al Coccio).
Non è rimasto praticamente nulla, se non una stele funeraria del II-III sec. d.C., conservata al Museo di Cecina, che ci ha permesso di conoscere l’antico proprietario della villa.
L’iscrizione della stele ci rivela che fu fatta realizzare dal liberto Autumnalis, per disposizione testamentaria, per ricordare il nobile proprietario defunto. Si trattava di un signore di Volterra, il cavaliere Marcus Anaenius Pharianus, magistrato municipale e tante altre cose (l’elenco dei titoli è molto lungo). Il nome romanizzato rivela ai linguisti l’ascendenza etrusca.
Il testo si conclude con la classica locuzione latina del culto dei morti:
SIT TIBI TERRA LEVIS
che la terra ti sia lieve
…continua nel prossimo post, nel quale vedremo meglio come erano le ville agricole del nostro territorio.