Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti 2017
Sabato e domenica si terrà il salone dei Vignaioli a Piacenza, a cui partecipiamo ormai da tanti anni.
Ecco la nostra posizione: vi aspettiamo numerosi!
Cena dei vignaioli FIVI
Venerdì 24 novembre, in occasione della Mostra Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti FIVI a Piacenza (25-26 Novembre), ci sarà una cena con in abbinamento i vini di alcuni dei vignaioli.
Si terrà a Cadeo (Piacenza), presso il ristorante Da Romano. Ci sarà anche il nostro Vermentino L'Airone. Nelle immagini sotto ci sono tutte le informazioni necessarie.
Prossimi appuntamenti di Novembre
Segnatevi queste date: ecco due manifestazioni di vino molto interessanti a cui saremo presenti:
- 18-19 Novembre al porto di Livorno, Terminal Crociere, Mare di Vino: questa manifestazione, organizzata dalla Fisar locale, raduna molte importanti aziende della nostra bella provincia di Livorno, con le sue denominazioni Bolgheri, Val di Cornia, Montescudaio e Terratico di Bibbona. info su: http://www.maredivino.it/
- 25-26 Novembre alla fiera di Piacenza, Mostra Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti: qui invece si ritrovano vignaioli da tutta Italia, 501 per l'esattezza, tutti affiliati alla FIVI (Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti). Info su http://www.mercatodeivini.it/
Taormina Gourmet 21-22-23 ottobre 2017
Saremo presenti coi nostri vini a questo rinomato festival del cibo e del vino, nella magnifica Taormina, presso Hilton Giardini Naxos.
Per ogni informazione http://www.taorminagourmet.it/
Criseo: uno dei migliori bianchi toscani
Criseo, il primo vino bianco da affinamento di Bolgheri, continua a far parlare di sè. Il giornalista Daniele Cernilli lo ha messo fra i migliori vini bianchi di questa estate, descrivendolo così:
"Naso di formidabile complessità, note di pietra focaia, cedro, mandorla fresca e accenni di frutta esotica. Sapore pieno, salino, di ottimo corpo, caldo ma agile e dalla piacevolissima bevibilità. Uno dei migliori bianchi toscani di quest’anno. Complesso".
Grazie mille!
Katrin Pfeifer "Bolgheri: Impressioni dalla Natura" "Impression from Nature"
Ecco alcune immagini della mostra.
Here there are some pictures of the exhibition.
Sabato 8 luglio: inaugurazione dell'opera di Fabrizio Tiribilli
Sabato 8 luglio, dalle 18.00 alle 20.00, ci sarà la presentazione da parte di Fabrizio Tiribilli della sua opera "Danza d'Agosto".
Vi aspettiamo
Sabato 8 luglio: inaugurazione dell'opera di Fabrizio Tiribilli
Sabato 8 luglio, dalle 18.00 alle 20.00, ci sarà la presentazione da parte di Fabrizio Tiribilli della sua opera "Danza d'Agosto".
Vi aspettiamo
Jassarte is Jassarte
Ecco un video che presenta uno dei nostri vini di punta, l'unico e raro Jassarte.
Tom Hyland: Guado al Melo, expressive wines from Bolgheri
Tom Hyland wrote about Guado al Melo:
Guado al Melo, expressive wines from Bolgheri
Vineyards at Guado al Melo, Castagneto Carducci
(All photos from the Guado al Melo website)
The Bolgheri district, located along the western coast of Tuscany in the province of Livorno, has become, in the short time frame of 35-40 years, one of the most celebrated of all wine territories in Italy. There’s more than a touch of irony here, as the leading varieties are not indigenous, but rather ones imported from France, namely Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot and Petit Verdot. Yes, Sangiovese is grown in Bolgheri (this is Tuscany, after all), but this variety takes a back seat to the cultivars from Bordeaux.
The names of the most critically acclaimed red wines of Bolgheri (there are some notable whites produced here as well – more on that later) are quite famous, names such as Sassicaia and Ornellaia. Less well-known, but as impressive (arguably, even more so) is Grattamacco. These estates have made Bolgheri a household name and today they continue to craft stunning wines.
Of course, as with any wine zone, there are numerous excellent producers that are not as well known. One of the best of this category is Guado Al Melo, property of the Scienza family. Michele Scienza, who had spent time in Bolgheri, learning the land alongside his father Attilio, moved to the small town of Castagneto Carducci in 2000, and opened Guado al Melo soon after.
Michele had a wonderful education in wine, thanks to Attilio, who is one of Italy’s most knowledgable personalities when it comes to viticulture and grape varieties. One of the features of the winery today is a library of wine books, one of the most exhaustive in Italy, or the world for that matter. If you need to know anything about what varieties should be planted in which soils throughout Italy, ask Attilio Scienza. Believe me, you will get a thorough answer!
Inheriting such a vast wealth of knowledge from his father, it was only natural that Michele would become a bit adventurous in his work. Along with crafting his versions of Bolgheri reds – and one impressive Bolgheri white – Michele produces a special red known as Jassarte. The name is that of a river of the ancient world; together with the River Indo, these bodies of water separated East from West several thousand of years ago. Together with his father, Michele planted a separate vineyard at the estate that would be a field blend, with a mix between Mediterranean (current Western Hemisphere) and Caucasian (Asia Minor) varieties. The vineyards themselves are trained in ancient Etruscan methods, and the wine is a bit of a tribute to Etruscan winemaking from centuries past, while implementing current technology in the cellar. Jassarte is a blend of at least 30 varieties, which includes a few from Portugal, as well as Caucacus and the Rhone Valley; while there is little information given out regarding the exact varieties used in this wine, the dominant one is Syrah.
Here are a few brief notes on the wines of Guado al Melo:
2015 Criseo (Bolgheri Bianco) – This is one of the top two wines of Guadl al Melo, and of the current releases, it is the finest. A blend of Vermentino (80%) with smaller percantages of Verdicchio, Manzone, Fiano and Petit Manseng (how’s that for an unusual mix of varieties?); aged in stainless steel and given several months of aging on its lees. Aromas of lemon zest, guava and a hint of apricot. Medium-full with excellent depth of fruit, and a rich mid-palate. Impressive persistence, very good acidity and a light minerality. Excellent complexity, this is well made and engaging now, but will display greater complexities over the next 3-5 years. Excellent
2015 Antillo (Bolgheri Rosso) – Sangiovese-based, this offers aromas of black cherry, tobacco and menthol. Good acidity, with a slight bite to the tannins. Fresh and fruity, but lacking complexity. Enjoy over the next 2-3 years. Good (Antillo means “sunny place.”)
2015 Rute (Bolgheri Rosso) – Primarily Cabernet Sauvignon with a small percentage of Merlot. Bright ruby red; aromas of black cherry, myrtle, plum and mint. Medium-bodied, with ideal ripeness, good acidity, medium-weight tannins, very good persistence and impressive harmony, though perhaps a touch too much oak. Enjoy now and over the next 2-4 years. Very Good (Rute is an Etruscan word meaning “red.”)
2015 Atis (Bolgheri Superiore) – Atis is the name of a legendary Etruscan king. Cabernet Sauvignon-based, this has aromas of black plum, violet and thyme. Medium-full with very good to excellent concentration. Ripe and somewhat forward, with medium-weight tannins, good acidity and impressive persistence. This needs several years to settle down and display its finest qualities. Best in 10-12 years. Excellent
Bravo to Michele Scienza for his consistently excellent work at Guado al Melo. He was recently recognized for being one of the up-and-coming wine estates in Italy by a prestigious wine publication in that country, and I personally admire his Criseo Bianco quite a bit. I think you will be hearing more about his wines over the coming years.
Tom Hyland
Orario estivo della cantina
Passiamo all'orario estivo di apertura della cantina. Da oggi fino a metà settembre saremo aperti al pubblico dal lunedì al sabato mattina 10.00-13.00 16.00-20.00.
Venite a trovarci: in questi orari sono possibili degustazioni, visite libere al museo sulla storia e cultura del vino, l'acquisto del vino.
Invece per tour guidati con degustazione (Visita Plena) è necessaria sempre la prenotazione.
A proposito di Criseo
Una gradita e ottima recensione del nostro Criseo 2015 sul Venerdì di Repubblica (venerdì 9 giugno 2017), ad opera di Paola e Gianni Mura. Grazie mille.
Servire ad abbinare il vino
Sapete che è meglio non lasciare il vino in macchina sotto il sole in estate? Oppure che servire il vino a una temperatura sbagliata non ce lo fa apprezzare quanto merita?
Bersi con piacere un bicchiere di vino non comporta per forza essere degli esperti anzi la cosa migliore è lasciarsi andare al piacere.
Tuttavia ci sono piccoli accorgimenti per rendere questo momento migliore o, per lo meno, per apprezzare senza intoppi una buona bottiglia di vino. Ci sono molti libri sull'argomento per chi volesse approfondire. In questi pieghevolini diamo solo qualche informazione fondamentale.
C'è anche qualche idea di abbinamento per i nostri vini ... poi lasciamo spazio alla vostra fantasia.
Se volete scaricare la versione in pdf in italiano ed inglese:
servire ed abbinare il vino 2017
Danza d'Agosto - Fabrizio Tiribilli torna a creare per Guado al Melo
L'artista, di origini fiorentine, Fabrizio Tiribilli (anche se ormai vive da anni sulla Costa Toscana, ora a Livorno, dopo un intermezzo in Sicilia) torna a creare per la nostra azienda. Lo fa con una bellissima opera nuovamente ispirata alla natura e al nostro lavoro di vignaioli. Fabrizio è una grandissima persona e un grande amico, oltre che un artista di grande sensibilità.
Il titolo di questa ultima opera è "Danza d'Agosto", ispirata alla danza dei colori che si crea sul grappolo d'uva durante l'invaiatura*. Tecnicamente si tratta di pittura ad olio su pannelli di legno. L'opera è molto grande e Fabrizio ha scomposto il grappolo in tanti pannelli, giocando sui pieni e sui vuoti, per un effetto d'insieme spettacolare.
Stiamo terminando la preparazione e, a breve, ci sarà una degna inaugurazione!
*Il grappolo, dopo la fioritura, forma dai pallini piccoli e verdi (i futuri acini) che iniziano pian piano ad ingrossarsi. Circa all'inizio d'agosto gli acini non crescono più ma iniziano a cambiare colore. Questo momento viene chiamato "invaiatura". Per l'uva bianca è un processo discreto, si vira verso il giallino o il giallo con sfumature verdi. Per l'uva nera è più vistoso e spettacolare: gli acini, anche sullo stesso grappolo, prendono diversi colori prima di arrivare alla tinta finale, diversa per ogni varietà, che va dal violaceo al blu profondo. Al termine dell'invaiatura l'uva ha cambiato colore ma non è ancora pronta. Ora inizia la maturazione vera e propria, cioè tutte quelle trasformazioni interne che lo portano ad accumulare zuccheri, aromi, tannini, ecc... Dall'invaiatura alla maturazione ottimale passano circa 40 giorni, periodo che può variare anche in base all'andamento stagionale di questo delicato ed importantissimo momento.
Questo è il secondo importante lavoro che Fabrizio ha realizzato per la nostra cantina, ispirato alla vigna. Il primo risale al 2007. Si tratta di un grande trittico, "Leaf", sempre olio su legno, che rappresenta una foglia di vite divisa in tre parti e con i tre colori che la natura ci regala nelle diverse stagioni. Quest'opera, sempre di grande impatto, ravviva la nostra sala di degustazione.
In seguito ha "giocato" con le torrette di ricircolo dell'aria (n.9 in totale) sul tetto verde della nostra cantina, con un'opera intitolata "Regenesi Ludica", ispirata sempre ai colori della natura circostante. Ha trasformato degli oggetti tecnici da nascondere in elementi vivi che caratterizzano il paesaggio.
Infine, nel 2015 abbiamo ospitato una sua mostra nella nostra cantina, vi ricordate?
La mostra mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti FIVI a Roma
Bella esperienza alla prima mostra mercato FIVI a Roma. Grazie a Daniele de Ventura e tutti i suoi collaboratori per l'evento. Ecco alcune foto.
Il mistero della complantazione
Mi rendo sempre più conto che quando racconto alle varie manifestazioni di vino (come ieri a Lucca) il nostro Criseo (già Guado al Melo Bianco) e, soprattutto, il Jassarte, negli occhi di molte persone brilli la luce dell’incomprensione (anche se poi magari non osano dire nulla).
Purtroppo la comunicazione dominante del vino in Italia ha inculcato l’idea, credo ormai difficile da superare, del vitigno singolo o puro come il massimo dell’espressione enologica. Noi invece spiazziamo presentando alcuni vini che nascono dall’idea opposta, cioè la complantazione (bellissima parola che fa pensare a vicende mistiche e meditative).
In realtà non è un concetto complicato e, fra l’altro, neanche nuovo, ma intimamente legato a quello che è sempre stata la viticoltura nei nostri territori nel passato, a parte forse la seconda metà dell’ultimo secolo .
Semplicemente si tratta di vini che nascono da singole particelle di vigna dove sono coltivate insieme (da qui il termine complantazione) diverse varietà. E qui succede qualcosa di straordinario: queste viti che crescono insieme (da molti anni) nella stessa particella arrivano a come fondersi fra loro, a diventare un tutt’uno, dove ciascuna partecipa a dare complessità ma nello stesso tempo la caratteristica varietale diventa sfuggevole ed indistinta, dove alla fine ad esprimersi è quella singola particella nella sua unicità e non la somma delle diverse varietà che la compongono. È un atto sinergico, dove il risultato non è la semplice somma delle parti ma un qualcosa di unico ed irripetibile.
Criseo è questo, una particella dove in origine abbiamo piantato delle varietà a bacca bianca con una certa percentuale, cresciute insieme ormai da 19 anni, che raccogliamo tutte insieme in quel momento magico in cui, dopo anni di esperienza, abbiamo capito che raggiungono all’unisono il punto più alto di co-espressione, per essere fermentate tutte insieme. La co-fermentazione non è di nuovo frutto del caso, ma ci sono voluti anni di sperimentazione per arrivare a comprendere. La differenza fra la co-fermentazione e fermentare ogni singola varietà da sola è la stessa fra la musica di un’orchestra e quella dei singoli strumenti. Fermentando insieme si creano sinergie uniche, sviluppando sensazioni aromatiche che altrimenti non nascerebbero dalle singole varietà, anche se poi mescolate insieme.
Jassarte è probabilmente una forma di complantazione più pura ancora rispetto al Criseo. Si parla qui di una trentina di varietà, dove la massima complessità si fonde nell’unicità di una singola vigna (anche questa di 19 anni d’età). È inutile cercare nell’assaggio, come fanno alcuni, di riconoscere questa o quella varietà! È impossibile. Noi ripetiamo agli increduli degustatori:“Jassarte è Jassarte!”. Bisogna lasciarsi andare ad assaporare il nuovo, non cercare il già conosciuto. Capisco che sia come un salto nel vuoto, senza le cinture di sicurezza delle note aromatiche delle varietà così come si imparano a memoria. Bisogna avere solo la semplicità di abbandonare le vecchie vie senza timore. È un salto onirico infatti, al rallentatore, da assaporare senza la paura di cadere.
Un Mare di Gusto, San Vincenzo, 5-6-7 Maggio 2017
Nel week-end del 5-6-7 Maggio ci sarà anche Un Mare di Gusto, un festival della cucina di pesce, con particolare attenzione alla tipica palamita (un pesce azzurro gustosissimo). Ad accompagnare le degustazioni, ci saranno i nostri super vini bianchi, L'Airone Vermentino 2016 e il Criseo Bolgheri DOC Bianco 2015.
Ecco il sito di un mare di gusto
programma-2017-un-mare-di-gusto
Mostra-mercato dei Vignaioli Indipendenti FIVI, Roma, 13-14 Maggio 2017
Il 13 e 14 Maggio invece saremo a Roma, al salone dei Vignaioli Indipendenti.
On 13th and 14th May, we'll be at Rome, at the wine tasting of FIVI Association.
Anteprima Vini Costa Toscana, Lucca, 6-7 Maggio 2017
Ecco il prossimo evento a cui partecipiamo con i nostri vini. Vi aspettiamo a Lucca!
Here there are the next event where you can taste our wines. See you at Lucca!!
La storia della fillossera V: la fillossera arriva in Italia
Sulla maggiore calamità della viticoltura: la fillossera (parte 5°)
E l’Italia?
Finora si è parlato solo della Francia (qui, qui, qui e qui) in quanto fu il primo paese ad essere attaccato dalla fillossera e il primo a reagire nella ricerca della causa della malattia e delle soluzioni.
Nel libretto “La fillossera - Le sue invasioni”, 1879 – da La Gazzetta delle Campagna, leggiamo che l’Italia in quel momento non era ancora stata infettata ma c'era l'invito ad essere pronti: già si è propagata in mezza Europa.
L’autore esprime la speranza (che sappiamo vana) che la nostra terra possa non essere colpita da tale male. Secondo lui l'Italia ha il vantaggio di avere vigne con sesti d’impianto molto ampi, con singoli ceppi molto più forti e vigorosi. Egli spera che questo sia utile a limitare il contagio, in quanto si era già appurato che l’insetto si sposta con difficoltà quando la distanza fra le viti è ampia. Inoltre, le vigne italiane sono spesso interrotte da canali, torrenti e altre colture, situazione che potrebbe ritardare la propagazione del male. L'invito però è quello di stare allerta, di sorvegliare coscienziosamente per cogliere i primi segni delle piante infette, bruciandole subito ed usando gli insetticidi nella terra intorno. L’importante è anche bloccare tutti i movimenti ed importazioni di materiali vegetali che possano propagare l’insetto.
L’autore presenta anche i diversi sistemi di difesa già attuati in Francia, sottolineando l’incredibile resistenza del parassita e la difficoltà a trovare rimedi che non fossero solo palliativi. Racconta che in Svizzera e Austria furono bruciate tutte le viti di vigneti infetti, rivoltato il terreno e scosso con la dinamite, seminato poi con tabacco, ricino, canapa e piretro e poi sovesciati. Dopo 5-6 anni si ritrovò di nuovo la presenza della fillossera.
I rimedi considerati migliori sembrano essere tre, come si deduce dell’esperienza francese: la solforazione del terreno, l’allagamento e l’uso della viti americane. Quest’ultimo è un rimedio radicale, a sostegno del quale l’autore ricorda le recenti scoperte del prof. Foëx. Lo studioso francese aveva infatti provato senza ombra di dubbio la resistenza delle viti americane alla fillossera. Secondo lo scienziato, questa resistenza è dovuta ad una maggiore legnosità delle radici, che sembrano così avere una minore permeabilità di tessuto. La loro resistenza sembra essere una proprietà intima ed immutabile di esse, quindi sicura e non transitoria.
L'autore termina così il suo scritto. Tuttavia fu proprio nello stesso anno (1879) che ci fu la prima osservazione in Italia della fillossera, in una località vicino a Lecco.
Quindi la terribile bestia arrivò anche da noi.
Facciamo quindi un salto in avanti. Sedici anni dopo, il prof. Ferdinando Vallardi descrive lo stato drammatico di una infezione ormai già dilagata in "Le viti americane e la viticoltura moderna" (Casa Editrice Dott. Francesco Vallardi, 1895). Racconta che, da verifiche fatte nel dicembre 1894, ben 27 provincie italiane avevano già visto la comparsa della fillossera. L’infezione aveva già distrutto oltre centomila ettari e altri settantacinquemila erano prossimi alla distruzione. La regione più colpita era la Sicilia, poi la Sardegna, la Calabria, l’Isola d’Elba, Liguria, Lombardia (Lecco e Bergamo) e Piemonte (Pallanza).
Cosa fare se i danni si fossero allargati oltre? Vallardi sostiene che col sistema preservativo (il solfuro di carbonio) si copre solo la ritirata, cioè si contengono un po' i danni ma non si risolve nulla. I viticoltori non devono indugiare ancora ma iniziare la ricostruzione con le viti innestate su piede americano. Quelli che non sono stati ancora colpiti devono invece essere pronti per il futuro. Egli argomenta la sua tesi riportando che la Francia, prima della fillossera, produceva dai 60 ai 70 milioni di ettolitri l’anno di vino. Nel 1887 è scesa a 25 milioni. Nel 1893 è già risalita a 50 milioni grazie alla ricostruzione dei vigneti con le viti innestate. Scrive: “Imitiamo dunque i nostri vicini, e i loro studi e le loro osservazioni ci siano di guida ….”.
Vallardi racconta che i vitigni americani già si coltivavano in Italia prima della fillossera e forse proprio da lì viene il micidiale insetto. Il York’s Madeira è coltivato da oltre 50 anni in Lombardia, scrive. L’Isabella a Varese fu piantata in abbondanza dopo il problema dell’oidio. Tuttavia la fillossera è arrivata in Italia un po’ più tardi e quindi ci si può già appoggiare sull’esperienza dei francesi. Vallardi racconta che il governo italiano è partito subito con la distribuzione di viti americane ai produttori delle zone colpite. Inoltre ha acquistato nuovi ibridi creati in Francia per sottoporli agli studi. Infine sono attive campagne governative per la diffusione della conoscenza attraverso conferenze, regalando attrezzi e copie di testi (come “Istruzione popolare sull’innesto della vite” del prof. Cavazza) per spingere i viticultori a costruirsi anche dei piccoli vivai interni.
Vallardi dimostra quindi col suo scritto di essere un "americanista" convinto. Non è il solo, in quegli anni si trovano infatti altre opere che spiegano dettagliatamente le varietà americane e come innestarle. Ad esempio, nella nostra biblioteca abbiamo anche l’opera del Vannuccini, del 1896: è un manuale pratico, per insegnare le tecniche dell’innesto.
Eppure l'esperienza non insegna: in Italia si ripetè lo stesso dibattito inferocito che c'era stato tempo prima in Francia. Si sprecarono soldi e risorse e si ritardò la ricostruzione.
Una testimonianza in questo senso si trova in una raccolta dei supplementi mensili del 1899 del Giornale di Agricoltura, dal titolo “Le viti americane e la fillossera”. La linea del giornale mostra chiaramente questo percorso. Nei primi numeri sembra sposare più fervidamente la posizione “sulforista”. Pur dedicando anche spazio alla descrizione degli avanzamenti nello studio dei portinnesti americani, ne prende inizialmente le distanze. Nelle prime pubblicazioni addirittura scrive che il titolo non sia fuorviante, loro non sono "americanisti", non appartengono alla piccola schiera di chi vede solo nelle viti americane il rimedio a questo male. Loro credono che possano esistere altri mezzi. L’autore sottolinea che la ricostruzione delle vigne d’Italia sarebbe un’opera lenta e richiederebbe anche grandi capitali che non abbiamo. Alcune pagine dopo però prevalgono sentimenti ambivalenti. Da una lato la speranza che basti l’insetticida per salvare le viti è dura a spegnersi. Dall’altro emerge sempre più l’amara consapevolezza di dover accettare la difficile e costosa ricostruzione delle vigne d’Italia.
A Dicembre dell 1899 compare anche una descrizione della situazione del momento: un settimo dei vigneti italiani sono invasi dall’insetto. C'è anche l’elenco dei Comuni. Per curiosità ho cercato la nostra zona: c’è anche Castagneto, con tutti i comuni circostanti.
La polemica divenne anche aspra. Il Giornale accusa che mancano i capitali per far fronte al disastro, mancano le cognizioni tecniche. I proprietari non ancora colpiti si sentono immuni, non se ne preoccupano e non prendono provvedimenti. Il Governo distrugge i vigneti infestati con mezzi inadeguati. Il prof. Sannino sta spingendo per l’importazione diretta di viti americane già testate e selezionate in Francia ma il Governo, con la paura di diffondere materiale infetto, ne ritarda l'importazione. Ha importato i semi, ma le viti generate dovrebbero essere tutte studiate e selezionate prima di poterle usare: è un lavoro molto lungo. I vitigni americani e i loro ibridi coltivati in Italia non danno garanzia di vera resistenza: prima di investirci tempo e denaro bisognerebbe che ci fosse più ricerca e sperimentazione. Quelli già studiati in Francia non sono mai stati sperimentati per capire come si comportano nei territori viticoli italiani. Il problema è che sono studi che richiederebbero anni prima di dare delle risposte sicure e precise, mentre non ce n’è il tempo! La conclusione comunque è desolante: non siamo pronti ad affrontare la ricostruzione.
Il Giornale riporta poi però anche le polemiche sul sistema conservativo, quello chimico, che ormai dimostrava tutti i suoi limiti: l’applicazione dell’insetticida sembra non dare grandi risultati o per lo meno non durevoli. C’è chi dice che deve essere abbandonato, c’è chi dice che viene solo applicato male. Si inizia a pensare che sia solo uno spreco di soldi. Compare sul giornale, ad esempio, la polemica circa il ritardo dell’intervento in Valmadonna (Alessandria), dove non si è ancora intervenuti col solfuro di carbonio, dopo il diffondersi della malattia. C’è chi dice che è meglio ormai lasciar fare alla fillossera, che si spreca denaro, tanto non cambia nulla. L’On. Ottavi scrive che non intervenire in Valmadonna significa riconoscere che i lavori fatti finora siano stati mal eseguiti e il denaro buttato. Si abbia allora il coraggio di dichiararlo e di abbandonare questa zona alla distruzione….
Sicuramente furono anni difficili e di grandi polemiche. La lotta per migliorare la viticoltura in Italia e traghettarla oltre il problema della fillossera fu molto dura, forse più che in altri paesi. Il mondo agrario italiano era molto conservatore, molto chiuso ed arretrato rispetto ad altri. La ricostruzione in Italia infatti fu molto più lunga che altrove.
Negli anni '30 infatti si parla ancora dei problemi della fillossera, come testimonia lo scritto del prof. Grandori ("La fillossera" - di R. Grandori, Ramo Editoriale degli Agricoltori, Roma, 1937).
Grandori ripercorre la storia della fillossera e della lunga ricerca di metodi per combatterla. "Era un vanto dei nostri padri e nonni possedere ceppi secolari", dice. Ormai sono quasi tutti scomparsi, sostituiti dai giovani impianti di viti innestate per colpa del terribile insetto. Grandori ricorda come nei primi quindici anni il Governo italiano abbia sovvenzionato il metodo del solfuro di carbonio. Questo però arginava un po’ il problema ma non era risolutivo perché non riusciva a raggiungere ed eliminare tutti gli individui terricoli. Ormai il sistema, scrive l'autore, è abbandonato ed usato saltuariamente solo da alcuni Enti o privati. L’autore accenna anche all’allagamento, ma dice che anch’esso è ormai abbandonato. Ormai l’unica soluzione accertata sono le piante innestate (bimembri). L’aspetto negativo, ormai costatabile dopo che sono passati decenni dai primi impianti fatti, è che si perde in longevità. La vita delle viti diventa massima di 30-40 anni, contro i ceppi centenari del passato. Tuttavia, sostiene, è un danno sopportabile rispetto al rischio della scomparsa della viticoltura.
Eppure, ancora quasi alla fine degli anni '30, Grandori deve ammonire i produttori italiani. Sono passati tanti anni eppure ancora oggi (egli scrive) solo i viticultori che hanno già avuto a che fare con questa malattia la conoscono in tutta la sua gravità. Secondo lui non è ammissibile che nei territori dove non è ancora giunta si continui ad ignorarla, considerandola una minaccia lontana. L'autore cita l'ammonimento che Giovanni Battista Grassi* fece ad inzio secolo: “Non occorre essere profeti né figli di profeti per preconizzare che la Fillossera non arresterà la sua marcia se non quando avrà distrutto l’ultimo piede di vite europea”.
*Grande medico italiano, noto per gli studi sulla malaria, ma che si occupò nei primi anni del Novecento anche della fillossera.
Eppure anche l'Italia completerà la ricostruzione.
Come ricorda lo stesso Grandori, la vittoria contro la fillossera non ha portato giubilo. Il costo pagato è stato elevatissimo!
Ma è veramente finita? Ne siamo così sicuri? (.... continua)
Vinitaly 2017
Quest'anno Vinitaly è stato segnato dall'importante cambio della nostra distribuzione in Italia. Infatti siamo passati a collaborare con Cuzziol GrandiVini ed abbiamo partecipato alla fiera nel loro stand collettivo. Ci è piaciuta molto sia la realizzazione (uno stand elegante ma molto sobrio) che l'organizzazione e la competenza che ha mostrato tutto lo staff di Cuzziol.
Sono stati molto positivi anche gli incontri con alcuni nostri distributori esteri, con i quali ormai collaboriamo da anni, che sono tornati a trovarci per assaggiare le nuove annate. Ci sono venuti a trovare da: Germania, Belgio, Svezia, Inghilterra, USA, Giappone, Australia,.... Diversi nuovi contatti potranno portare i nostri vini prossimamente anche in qualche nuovo paese, a breve faremo sapere.
Infine Attilio (il padre di Michele) è stato classificato al 4° posto fra le persone che hanno maggiore influenza nel mondo del vino italiano, soprattutto per il suo lavoro di ricerca per la sostenibilità in viticoltura. Ci ha fatto molto piacere per lui, perchè è una persona che ama infinitamente il suo lavoro e lo fa con grande passione.
Grazie di cuore a tutti
La storia della fillossera IV: Un viaggio avventuroso nell'America selvaggia
Appunti di storia della viticoltura.
Sulla maggiore calamità della viticoltura: la fillossera (parte 4°)
L'idea del portinnesto era sicuramente geniale, dopo il dramma iniziale e la scoperta della pista americana. Tuttavia, l'applicazione non era delle più facili. Ci vollero diversi anni di studio prima di poterla utilizzare e molti ancora per perfezionarla. Le difficoltà erano molteplici. Ad esempio, non tutte le viti americane davano la stessa resistenza alla fillossera. Ognuna aveva poi caratteristiche e richieste colturali adatte a certi suoli e climi, non in altri. Inoltre alcune erano facilmente innestabili ed altre no, ecc... Questo percorso, tutt'altro che facile, dovette essere affrontato in tempi molto stretti, al meno per gli aspetti più urgenti, sotto la feroce pressione della diffusione del male.
In questo momento di fervore scientifico nello studio delle viti americane, spicca, per il suo notevole grado di avventura, un viaggio che nel 1887 fece in terra americana l’allora giovane studioso Pierre Viala, alla ricerca di viti preziose. È qualcosa di insolito, qualcosa che non ci si aspetterebbe di trovare nella vita (normalmente) tranquilla di uno studioso di viticoltura.
Pierre Viala era allora un giovane e promettente studioso di Montpellier. Lavorava sotto la guida del grande professore Gustave Foëx. Quest'ultimo si era dedicato agli studi sulle viti americane già dai primi anni ’70.
Col suo mentore, Viala pubblicò nel 1885 il suo primo libro sull’argomento: «Ampélographie américaine: Description des variétés les plus intéressantes de vignes américaines, avec une introduction à l'étude de la vigne américaine», presente nella nostra biblioteca.
È un trattato che descrive dettagliamente molte varietà americane già presenti in Francia, nella ricca collezione dell'Università di Montpellier. Nell'introduzione, si legge, che le viti americane erano conosciute fin dall’antichità. I primi navigatori scandinavi avevano già raggiunto le coste della Groenlandia nel periodo X-XIV sec.
Nell’anno 1000, Leif, figlio di Eric il Rosso, partì per l’Ovest per esplorare queste terre, che erano state scoperte da Biarne nel 986. Si fermarono davanti alle coste del Massachussett e un membro dell’equipaggio, sceso a terra con una scialuppa, rientrò con la barca carica di uva. Per questo Leif la chiamò Vinland.
Tuttavia le diverse varietà americane rimasero per lungo tempo sconosciute in Europa. Non ottennerro mai molta attenzione a causa della loro inferiorità produttiva rispetto alle nostre, sia come uva da tavola che da vino. Viala e Foëx ricordano come, nel 1861, Cosimo Ridolfi iniziò a coltivare la varietà Isabelle vicino a Firenze, per studiare la resistenza all’oidio. Segnalo, per la cronaca, che in realtà Ridolfi era partito con lo studio delle varietà americane anche prima, come documentato negli “Atti della Seconda Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Torino nel settembre del 1840” (edito nel 1841 dalla Tipografia Cassone e Marzorati). Gli autori ricordano anche che nel 1866 Léo Lalimand importò diverse varietà americane nella sua proprietà di Bordeaux, osservandone la resistenza agli attacchi di fillossera. Nel 1872, il ministro dell’Agricoltura Lefranc fece venire dagli USA diverse varietà di viti, distribuite ai produttori dell’Hérault. Dopo di che le importazioni continuarono e la Scuola d’Agricoltura di Montpellier aveva riunito ormai una collezione di circa 300 varietà diverse, alcune descritte nell’opera. Nel 1883, segnalano gli autori, si erano già rimpiantati con le viti innestate circa 20.000 ettari nel dipartimento dell’Hèrault.
Questo e altri studi contribuirono in quegli anni alla conoscenza delle viti americane e alla ricerca delle varietà più adatte a fungere da portinnesto per i prezioni vitigni europei.
Tuttavia, fino a quel momento, la maggior parte delle viti americane conosciute, resistenti alla fillossera, erano per lo più adatte a terreni argillosi. Regioni con terreni calcarei o marnosi rischiavano di rimanere escluse dalla possibilità di ricostruzione, come la Champagne e la Charentes (dipartimento francese nell'Ovest della Francia, un po' più a nord rispetto a Bordeaux).
Per questi motivi, nel 1887, il Ministero dell'Agricoltura incaricò il giovane Viala (aveva 28 anni), considerato un esperto dell'argomento per gli studi fatti fino ad allora, di svolgere un viaggio ufficiale negli Stati Uniti, per cercare varietà di viti americane adatte a queste tipologie di terreni.
È lo stesso Viala a raccontare del viaggio in prima persona, nella sua opera (presente nella nostra biblioteca) “Une missione viticole en Amérique” (1889).
Viala racconta che fece numerose esplorazioni nei boschi e nei vigneti americani, per osservare le diverse varietà americane introdotte o meno in Europa, per studiarle da un punto di vista botanico e storico, nel loro ambiente naturale. Per conoscerle, aveva percorso anche zone dove la civilizzazione non era ancora giunta, nelle foreste vergini, alla ricerca di viti allo stato selvaggio.
L'opera, come spiega lo stesso autore, non segue l'ordine cronologico delle sue osservazioni, ma le raggruppa per argomenti. La prima parte riguarda lo studio dei portinnesti americani come produttori diretti. Raccoglie la descrizione delle specie selvatiche e i loro ibridi, i sinonimi, le diversità morfologiche, la loro geografia, i terreni dove crescono naturalmente negli Stati Uniti, la loro capacità adattativa e il valore colturale. Segue uno studio comparativo, molto accurato, fra le tipologie di suoli americani e francesi, per individuare le varietà americane meglio adatte ai diversi terreni di Francia. Infine descrive le malattie che colpiscono le varietà americane nel loro ambiente naturale.
Comunque sappiamo che la prima tappa del suo viaggio fu a Washington, presso il dipartimento di Agricoltura e Geologia, per cercare di individuare i terreni di suo interesse, dove poter trovare le viti adatte.
Qui scoprì che la maggior parte degli ambienti selvaggi dell'Ovest erano ancora sconosciuti da un punto di vista geologico, come si vede dalla mappa sotto: la zona è tutta bianca! Invece nella parte di territorio già esplorato, la maggior parte dei suoli appartenevano allo stadio cretacico, ma non erano comparabili a quelli del Charentes e soprattutto della Champagne. Quanto ai terreni marnosi, che posso risultare dalla decomposizione di roccie di diverse formazioni geologiche, erano distribuiti in maniera irregolare in tutti gli Stati. Oltre tutto, i geologi e gli agricoltori americani gli dissero che nei terreni calcarei non avrebbe trovato viti selvatiche. Ebbe allora la prospettiva di non arrivare a nessun risultato. Decise allora di esplorare personalmente gli Stati Uniti, per essere sicuro che non ci fosse una soluzione al suo problema.
Scrive che i sei mesi a sua disposizione (dal 5 giugno al 3 dicembre 1887) non gli permisero che di percorrere una piccola parte dell’immenso territorio che avrebbe dovuto esplorare. Nella mappa sotto si vede il percorso del suo viaggio, tracciato con una linea nera, dall'est all'ovest e ritorno. Racconta di aver attraversato il Massachusetts, il New Jersey, Maryland, Delawere, Virginia, Pennsylvania, il Distretto di Colombia, Kentucky, New York, Ohio, Tennessee, Territorio Indiano, Missouri, Carolina del Nord, Texas, California, Colorado, Nuovo Messico ed Arizona. Per lo più il suo viaggio si svolse in foreste vergini e in terreni incolti, con un alto livello di avventura e di pericoli, studiando i diversi tipi di viti selvatiche trovate.
Solo nel nord del Texas iniziò a trovare terreni analoghi a quelli che stava cercando. Qui, con l’aiuto di M.T.V. Munson, finalmente individuò nel centro del Texas quelle terre cretacee che cercava, dove finalmente trovò anche viti che si mantenevano verdi e vigorose.
Viala nel suo viaggio fu aiutato da numerosi esponenti scientifici e politici locali, che elenca e ringrazia uno ad uno. Alcuni lo affiancarono anche nel percorso e gli fecero da guida nei diversi territori. Egli riconosce che gli Americani hanno supportato e facilitato le sue ricerche con una premura da elogiare. La loro ospitalità e il loro aiuto lo hanno aiutato a superare i momenti difficili (che in un viaggio così non devono essere stati pochi).
Al suo rientro, a parte la notevole mole di osservazioni e studi, riporterà soprattutto tre varietà interessanti: la Vitis berlandieri, Vitis cinerea e Vitis cordifola. In particolare, in seguito, la Vitis berlandieri, incrociata con la vite europea, darà origine al celebre portinnesto 41B.
C’è chi dice, a posteriori, che il viaggio di Viala in realtà non fu così indispensabile, che la Vitis berlandieri era fra quelle già coltivate in Europa, anche se forse fino a quel momento era passata “inosservata”.
Tuttavia il suo viaggio, accolto da un trionfale rientro in patria, contribuì a dare un notevole impulso allo studio dei portinnesti in generale e della Vitis berlandieri in particolare. A lui personalmente regalò grande fama e un’ottima carriera, tutt'altro che immeritata. Infatti farà grandi cose anche dopo.
Gli studi sulle viti americane, le ibridazioni con la vite europea, la selezione e l'ottenimento di portinnesti sempre migliori e più adatti alle diverse condizioni: tutto questo è una lunga storia che non è ancora conclusa e continua anche ai giorni nostri. Tuttavia è affascinante pensare ai pionieri di questo percorso, in particolare a questo giovane professore francese nelle selvagge terre americane di fine Ottocento, alla ricerca del suo tesoro, le vite resistenti al terribile insetto.
Nella prossima puntata la fillossera arriva in Italia...
La storia della fillossera III: come sconfiggere la devastatrice?
Sulla maggiore calamità della viticoltura: la fillossera (parte 3°)
All’inizio ci fu un disarmo totale (e qui) verso questa vera e propria peste e numerosi studiosi si impegnarono a cercare la soluzione a questo grave problema.
Il governo francese addirittura promise un premio in denaro a chi sarebbe stato in grado di trovare il rimedio tanto sperato. Per la cronaca, date le difficoltà e le controversie, non verrà mai versato. Pur riconoscendo l’apporto fondamentale di alcune personalità, fu in realtà lo sforzo condiviso di un’intera comunità di scienziati, produttori e politici a permettere di superare questo gravissimo e difficile problema.
Intanto il male si propagava. Prima dell’invasione, la produzione francese dell’epoca oscillava fra i 40 e i 70 milioni di ettolitri all'anno. Nel 1879 la produzione scese a 25 milioni. La Francia del Sud fu la prima ad essere invasa, poi si spinse in altre regioni viticole francesi, in Portogallo, Austria, Germania, Svizzera. Nel 1879 fu scoperto in Italia, per la prima volta a Valmadrera (Lecco), e subito dopo in provincia di Milano, a porto Maurizio (l’attuale provincia di Imperia) e in Sicilia, dove dilagò in special modo.
I tentativi furono tanti. Nel libro della nostra biblitoca “La fillossera e le sue invasioni" (1879, edito da Stabilimento Agrario di Enrico Barbero, Torino), c'è una raccolta di articoli del giornale "la Gazzetta di Campagna”, che riportano dettagliatamente i vari tentativi fatti in Francia per trovare una soluzione.
Prima di tutto si tentò di seminare sotto alle viti delle piante che, per proprietà venefiche o per viscosità o per attrattive speciali, potessero uccidere o far fuggire o imprigionare il terribile insetto. Si provarono la canapa, il lupino, il ricino, lo stramonio, la madia, la camomilla, il coriandolo, il tabacco, la belladonna, i ravizzoni, i piretri, diverse euforbie, l’artemisia, la saponaria, la valeriana, la balsamina, l’aglio e altro. Queste piante erano seminate, poi interrate per sovescio oppure erano somministrate in polvere come concimi, unendovi ora il fieno greco, ora il ricino, l’aglio e altre sostanze considerate "acri".
Si cercarono anche rimedi meccanico-fisici ed agrari. Si era osservato che la fillossera trova grande impedimento nei terreni sabbiosi. Infatti, i vigneti impiantati in questi suoli risultavano immuni al problema. Si arrivò a pensare di insabbiare fino alle radici anche gli altri, ma naturalmente era troppo difficile da farsi oltre che con costi elevatissimi. Si propose di attuare una compressione artificiale dei terreni, per ostacolare il movimento della fillossera in essi, ma si rivelò inefficace. Fu consigliato il rivestimento dell’intera superficie vitata con ciottoli, sia per dare maggiore compattezza al terreno che per impedire il passaggio dalle radici al fusto delle forme sessuate dell’insetto. Con lo stesso fine, si pensò di spalmare i piedi delle viti con catrame o sostante vischiose, pratica abbandonata quando si scoprì che le generazioni sessuali si succedevano tanto sopra quanto sotto terra.
Un metodo che sembrò avere un buon successo fu l’inondazione dei vigneti. Nel periodo invernale, i vigneti vennero sommersi per 2-3 mesi al fine di uccidere tutte le forme di fillossera presenti, sia nel terreno che sui ceppi. Questo sistema fu usato con discreto successo in alcune prove. Era però inapplicabile per i vigneti giovani e in piena produzione (il ristagno dell’acqua compromette la vitalità della vite). Inoltre era impensabile, in generale, per costi e fattibilità. Tuttavia ebbe un discreto successo e a lungo venne considerato uno dei tre metodi ottimali per sconfiggere la fillossera. Addirittura si arrivò a progettare sistemi di canalizzazioni intorno alle vigne per poterlo attuare, con diversi mezzi per pompare l'acqua. Questi progetti rimasero per lo più sulla carta, grazie poi all'introduzione dei portinnesti americani (descritto in seguito).
Si pensò ovviamente anche all'uso di insetticidi. All’inizio si cercarono di fare fori nella vite stessa, per iniettarle tormentina, petrolio, sali mercuriali, acido fenico, arsenico e altro ancora, facendo solo morire le piante. Si cercò allora di eliminare le uova invernali, che si annidano nelle fessure della corteccia, spennellando i tronchi con diversi preparati. La pratica si rivelò inefficace: il ciclo è portato avanti da insetti ibernati nel terreno.
Visto che l’insetto si localizzava nelle radici e lì s’insediavano le forme ibernanti invernali, si pensò di iniettare nel terreno sostanze velenose. Si provò che erano molte le sostanze che potevano ucciderlo ma diverse non erano utilizzabili. Alcune erano troppo pericolose per le persone che le avrebbero dovute maneggiare, altre troppo costose o troppo difficili da applicare. Dopo varie prove, ci si orientò sui solfo-carbonati alcalini, proposti da tale Dumas. Si trovò un buon risultato col solfuro di carbonio, iniettato nel terreno tutto intorno alla vite. Questo metodo, che sarà uno dei più utilizzati per decenni, si sviluppò grazie anche al contributo del farmacista lionese Gabriel-Fernand Crolas. Si misero a punto anche diversi attrezzi per insufflare la terra con l’insetticida, si studiò la definizione delle dosi, come somministrarle e in quante volte... Le immagini seguenti sono prese ancora dal “Course complet de Viticulture” di Gustave Foëx (1891).
Intanto uno sparuto gruppo di tecnici e scienziati, dopo la scoperta della pista americana, iniziò a pensare all’uso delle propietà di resistenza di queste viti all'insetto. Non si poteva certo pensare di utilizzarle per fare vino. Nacque però l’idea di creare delle piante innestate, che mettessero insieme la parte di radice delle viti americane (resistente alla fillossera) e la parte produttiva delle pregiate varietà europee. Lo stesso Planchon tornò dall’America con numerose varietà da studiare. Molte erano già presenti in Francia e numerosi scienziati, fra cui anche il prof. Gustave Foëx di Montepellier e altri, si gettarono sul loro studio. In particolare fu notevole il contributo di Victor Pulliat, fra i primi a proporre l’idea dell’innesto (lo abbiamo già citato in precedenza come autore di uno dei primi trattati di ampelografia francese). Questo studioso fu uno dei più importanti sostenitori della viti innestate, diede un grande contributo allo sviluppo del sistema, nonché ne fu uno strenuo difensore negli anni a venire.
Infatti la via americana non raccolse inizialmente grandi consensi. Per molti anni la grande maggioranza del mondo politico e del vino concentrò sforzi e risorse solo sul metodo chimico. Naturalmente è comprensibile: si preferiva, anzi si sperava, di riuscire a curare le vigne, o per lo meno bloccare l’espansione della malattia, e poter tornare finalmente alla tranquillità.
Non era invece attraente per nessuno la prospettiva di rifare tutti i vigneti, perdere vigne anche secolari, con tutte le problematiche e le spese necessarie. Inoltre c'era molto scetticismo circa la qualità del vino ottenuto. Si temeva che la parte radicale americana, in qualche modo, potesse deprimere la qualità e i profumi del vino prodotto. C'era anche la paura che la resistenza dei portinnesti non fosse così garantita o che la parte europea indebolisse questa capacità. Perchè rischiare soldi e tempo per poi ritrovarsi la vigna di nuovo distrutta?
Tuttavia il metodo chimico mostrava, a chi voleva vederli, i suoi limiti: se è facile irrorare con un prodotto la parte di chioma di una pianta, ben più difficile è riuscire a farlo con le radici. È molto difficile riuscire ad eliminare in questo modo tutti gli insetti, che tornavano ad imperversare anche dopo interventi lunghi e costosi. Inoltre l’iniezione mostrava effetti nefasti sulla fertilità del suolo. Con gli anni questo metodo dimostrò sempre più la sua insufficienza (infatti sappiamo come andò a finire: i vigneti furono poi ricostruiti con le viti innestate). Intanto, però, il metodo chimico fu preferito per diversi anni.
Lo scontro purtroppo si fece anche pesante. Si crearono fazioni contrapposte, l’una detta dei "sulfuristi" e l’altra degli "americanisti", con una polemica molto accesa soprattutto fra gli anni ‘80 e ‘85. Pulliat e gli "americanisti" erano i bersagli dei molti detrattori. Si arrivò addirittura alla calunnia. Ad esempio, Pulliat venne indicato come il responsabile dell’introduzione della malattia nel Beaujolais. La polemica fu tale che, fra il ‘76 e il ‘78, Pulliat dovette addirittura difendersi in tribunale.
Le leggi emesse dal Governo francese nel '78-'79 basavano le misure per combattere la fillossera ancora solo sulle solforazioni del terreno. Nel 1979, grazie all’opera indefessa di Pulliat ed altri studiosi (che pubblicarono diverse opere a favore) si riuscì per lo meno a far riconosce le viti americane come uno dei tre possibili metodi per la lotta (con la sommersione delle vigne già citata).
Intanto alcuni produttori iniziarono a seguire gli "americanisti" e cominciarono a reimpiantate le vigne. Vennero creati anche vigneti sperimentali con le nuove piante innestate. All’inizio alcuni inconvenienti tecnici, legati all’inesperienza, sembrarono creare delle insicurezze sulla bontà di questa via. Siccome non si avevano ancora basi sperimentali sufficienti sull’uso di alcuni portinnesti rispetto ad altri a seconda della natura del suolo e del clima, si ebbero inizialmente anche risultati mediocri. La ricerca e l’ottenimento dei migliori portinnesti richiederà ancora molti anni prima di perfezionarsi (ad esempio vedete qui).
Così, fino al 1881, la ricostruzione con le viti innestate avanzò timidamente. Dopo quell’anno però prese più spinta, grazie al miglioramento sperimentale e una maggiore accettazione dei portinnesti. Nel 1881 in 17 dipartimenti francesi erano stati ricostruiti 8.904 ettari. Diciotto anni dopo, in 44 dipartimenti, gli ettari erano saliti a 299.801.
Infatti nel frattempo, grazie all’opera di Pulliat (che diventerà anche professore di viticoltura all’Istituto Nazionale Agronomico di Parigi nel 1884) e altri grandi studiosi (come Foëx, Viala e Planchon), anche il Governo francese aveva iniziato ad appoggiarne lo studio dei portinnesti nei campi sperimentali, lo sviluppo dei primi vivai e l'avvio di scuole pratiche d’innesto. I successi nell’Hérault e nel Midi, dove erano stati piantati i primi vigneti con i portinnesti, portarono dal 1885 ad una sempre maggiore prevalenza degli "americanisti" e all’avanzare sempre più veloce della ricostruzione.
Tuttavia i "sulfuristi" non sparirono del tutto. Alcuni studiosi e produttori portarono comunque avanti le loro convinzioni e l'avversione ai portinnesti. La solforazione e l’allagamento furono, ad esempio, impiegati ancora per anni nelle vecchie vigne dei grandi cru di Borgogna e Bordeaux, che non si vollero ricostruire fino alla fine.
La ricostruzione delle vigne non fu tuttavia alla portata di tutti. Nel 1875 si contavano in Francia più o meno due milioni e mezzo di ettari. Nel 1903, dopo anni di ricostruzione, si era tornati a soli 1,7 milioni.
Nelle aree più colpite, tanti non ce la fecero a ricominciare. Ad esempio nel Cognac la fillossera fece delle vere e proprie stragi. Dai 280.000 ettari del 1865, nel 1893 ce n’erano 40.000, per risalire nel 1928 a soli 70.000.
Intere famiglie furono rovinate, costrette a vendere a basso prezzo i terreni perché non erano in grado di finanziare i nuovi impianti. Le vecchie vigne vennero convertite a foraggio. Molti emigrarono verso l’Algeria, l’Argentina, il Cile, ... Altri si spostarono nelle città, che chiedevano braccia a basso costo. Interi villaggi rimasero deserti.
Académie des Sciences et Lettres de Montpellier, 1993, J.P. Legros
"Le Phylloxéra et les maladies de al vigna: la lutte victoriuese des savants et des vignerons francais" par Roger Pouget, Edilivre.
"Victor Pulliat - Prophète en son pays" part Stéphane Guillard, Editions du Poutan, 2012.
http://avis-vin.lefigaro.fr/connaitre-deguster/o33218-l-histoire-du-phylloxera-lattila-de-la-vigne
La storia della fillossera II: la scoperta della pista americana
Appunti di storia della viticoltura.
Sulla maggiore calamità della viticoltura: la fillossera (parte 2°)
Come si è arrivati da qui a capire il collegamento con l'America e con le viti americane?
La scoperta della fillossera come causa della moria delle viti europee interessò molti studiosi. Ad esempio, il già citato prof. Westwood recuperò l’appunto preso nel 1863.
Risolutivo fu però, alla fine del 1868, l’entomologo francese Jules Lichtenstein, anch’esso coinvolto da Planchon. Egli si accorse che l’insetto somigliava fortemente ad uno già descritto nel 1855 negli Stati Uniti, col nome di Pemphigus vitifolia. Pochi anni dopo il nome era stato corretto in Daktulospharia vitifoliae, della famiglia Phylloxeridae. Questo è rimasto come nome scientifico ufficiale, ma ormai per tutti in Europa, ancor oggi, l'insetto mantiene il nome con cui ha devastato le nostre vigne originariamente: fillossera.
Le somiglianze erano forti ma non se ne aveva ancora la certezza: l’insetto americano era localizzato soprattutto sulle foglie della vite, mentre quello trovato in Francia sembrava vivere prevalentemente sulle radici. Nel luglio del ’69 un produttore del Bordolese, Léo Lalimand, segnalò però l’osservazione di galle di fillossera sulle foglie. Intanto fu coinvolto anche un entomologo americano, C.V. Riley , interessato da Lichtenstein, il quale fece studi in America per verificare la presenza dell’insetto americano anche sulle radici. Lo trovò.
Da queste osservazioni, si iniziò ad intuire che, nonostante le differenze di ciclo vitale, i due avessero comunque tante cose in comune. Riley spedì a Parigi dei campioni di insetti americani, per un confronto diretto. Iniziò così una stretta collaborazione e numerosi scambi fra l’entomologo americano e gli studiosi francesi, soprattutto con Planchon. Lo stesso Riley venne in Francia per confrontare direttamente i due esemplari. Così venne scoperto il collegamento con l'America ed iniziò a profilarsi una pista americana alla risoluzione del problema della fillossera.
L’attenzione si spostò infatti sulle varietà di questo paese. Alcune viti americane erano già presenti nei vigneti francesi, importati a cavallo di metà secolo, soprattutto per cercare soluzioni legate all’oidio (altro fungo arrivato dall'America in Europa). Si vide che queste viti erano le uniche resistenti alla terribile devastatrice. Planchon nel 1873 fece anche un viaggio negli Stati Uniti, per studiare la fillossera in loco e la capacità di resistergli delle viti americane.
Grazie a tutte queste scoperte, si capì anche come l’insetto fosse arrivato in Europa: molto probabilmente era stato importato proprio con viti americane infette. Infatti, si ricostruì che i primi vigneti ammalatisi erano vicini ad impianti di viti americane, anche se queste non avevano sviluppato la malattia.
Questo fatto scatenò anche una caccia polemica verso i colpevoli. Si identificarono e misero alla gogna pubblica i produttori ritenuti all’origine di questa devastazione. Fra i tanti c’era anche il già citato Léo Lalimand, che si difese strenuamente, arrivando anche a sostenere che la fillossera non fosse originaria degli Stati Uniti, contribuendo a creare ulteriore confusione. Secondo lui e altri, si era sviluppata in Francia e solo dopo si era trasferita in America. Questo fatto venne però smentito in seguito al viaggio di Planchon. Infatti in Texas trovò (e portò come prova) degli erbari con foglie di vite, raccolte nel 1834, prima della scoperta della malattia in Francia, che presentavano le inequivocabili galle causate dalla fillossera.
Intanto entomologi e biologi studiarono sempre più il complesso ciclo vitale della fillossera. Si iniziarono a capire anche le differenze del ciclo che svolgeva sulle viti americane e su quelle europee. Soprattutto spaventò la sua incredibile prolificità, sottolineando ancora una volta l’enorme pericolo che rappresentava.
Académie des Sciences et Lettres de Montpellier, 1993, J.P. Legros
"Le Phylloxéra et les maladies de al vigna: la lutte victoriuese des savants et des vignerons francais" par Roger Pouget, Edilivre.
"Victor Pulliat - Prophète en son pays" part Stéphane Guillard, Editions du Poutan, 2012.
La storia della fillossera I: una terribile calamità
Sulla maggiore calamità della viticoltura: la fillossera (parte 1°)
La fillossera è stata una delle più grandi calamità della storia della viticoltura ed occupa quindi una notevole parte della letteratura tecnico-scientifica del settore, dalla fine degli anni ’60 del XIX sec. fino agli anni 30’ (circa) del Novecento. Anche nella nostra biblioteca storica abbiamo diversi volumi su questo argomento. Rileggendo queste opere si scopre come la storia della fillossera è terribile ma molto interessante, ricca di colpi di scena e risvolti anche avventurosi.
Ricordo che la fillossera è un piccolo insetto, un afide che vive sulla vite con un ciclo vitale abbastanza complesso. Basta qui ricordare che esistono diverse generazioni e forme, alcune che si insediano sulle foglie della pianta e altre nelle radici. Punge i tessuti col suo rostro, causando la formazione di galle dove si inserisce e deposita le sue uova.
La fillossera è originaria del continente americano dove, in milioni di anni di co-evoluzione, ha instaurato una convivenza abbastanza pacifica con le viti locali. Sulla vite americana l’insetto svolge il suo ciclo completo, senza creare troppi problemi alla pianta. Si concentra soprattutto sulle foglie, dove forma un gran numero di galle, mentre le radici sono meno sensibili e non subiscono molti danni.
L’incontro improvviso con la vite europea si è rilevato invece devastante, proprio perché non calmierato da processi di co-evoluzione. Le viti europee subiscono molto più l’attacco alle radici che alle foglie. I tessuti radicali della vite europea sono molto sensibili alla puntura dell’insetto e si alterano pesantemente, formando come delle tuberosità. Lo stato di alterazione favorisce l’attacco concomitante di altri parassiti, come acari e funghi. L’insieme porta la pianta al deperimento e poi, nel giro di pochi anni (in genere tre), alla morte.
Nell’Ottocento, in Europa, questo insetto era assolutamente sconosciuto e, quando ci furono le prime osservazioni della malattia, non si sapeva assolutamente con cosa si avesse a che fare.
Nel 1863 il prof. Westwood dell’università di Oxford osservò con curiosità delle galle sulle foglie di una vite in una serra a Londra. Prese nota della cosa ma al momento non ci pensò più. Sempre nel ’63, fu osservato un primo deperimento delle vigne nel Sud della Francia, nel Gard. Non era che l’inizio: una strana “malattia” che portava le viti alla morte iniziò ad abbattersi sulle vigne del Sud del Francia, per poi propagarsi in altre zone vinicole. Finirà per espandersi in tutta Europa e nelle altre zone vitate mondiali.
Il momento storico dell’esplosione della calamità della fillossera è quello della seconda metà dell’Ottocento, un momento d’oro per la viticoltura francese, in quel momento una delle voci più importanti dell’economia agricola del paese. Questo era avvenuto grazie ad un aumento progressivo della produzione, all’aumento dei consumi e alla maggior facilità dei trasporti, grazie alla ferrovia. Da un lato vi erano i grandi proprietari terrieri ma, dall’altro, erano aumentati sensibilmente dall’inizio del secolo anche i piccoli produttori. Ricorda il senatore dell’epoca François Tamisier, in un suo discorso tenuto nei momenti drammatici della fillossera: “…si è formato in Francia un numero considerevole di piccoli proprietari vignaioli (vignerons), laboriosi, economi che, da padre in figlio, da oltre ottant’anni hanno conquistato una parte importante della vigna di Francia col loro lavoro ostinato, fecondo per il paese così come per loro…. Un miliardo cinquecento otto milioni e ottocentomila franchi: tale è, approssimativamente, la resa media annuale dell’industria della vigna francese…”.
Tutto questo venne però seriamente minacciato dalla comparsa di una malattia misteriosa.
Non appena ci si rese conto di avere a che fare con un fenomeno grave, vennero formate delle commissioni tecniche per cercare di vederci chiaro. L’interesse in gioco era notevole. Tuttavia, le prime commissioni non capivano cosa stesse succedendo, non trovando nulla di rilevante nelle vigne.
La svolta ci fu il 15 luglio del 1868 quando una nuova commissione, formata dal botanico Jules Émile Planchon, da Gaston Bazille (avvocato e viticultore, nonché Presidente della Società Agricola dell’Hérault) e Félix Sahut (proprietario agricolo ed agronomo), esaminò una vigna morente a St-Martin-de-Crau nell’Hérault. Studiando le viti morte, come avevano fatto tutti gli altri, non notarono nulla. Ebbero però l’intuizione di sradicare delle piante ancore vive e di studiarne le radici. Qui notarono la presenza di insettini giallastri. Continuarono l’esplorazione delle regioni circostanti ed ovunque, nei vigneti colpiti dalla calamità, osservavano la presenza degli stessi insetti. Bazille scrisse: “Osservando con lenti d’ingrandimento su radici, non ci sono funghi, non ci sono crittogami, ma subito, sotto la lente dello strumento, appare un insetto, un afide di colore giallastro, attaccato al legno e che succhia la linfa. Guardano meglio si osserva che non è uno, non sono dieci, ma sono centinaia, migliaia di afidi a diversi stadi di sviluppo. Sono ovunque, sulle radici più profonde così come su quelle più superficiali”.
Il risultato di queste osservazioni venne diffuso, sottolineando la gravità di quanto stava accadendo. All’inizio ci fu scetticismo: ricordo che era una un'epoca in cui non erano ancora chiari i legami fra malattie ed insetti (o altri orgamismi viventi). Ci fu chi pensò che l’insetto non fosse la causa, ma solo una conseguenza. Ad esempio, il Conte Poul de Gasparin, sul Giornale d’Agricoltura del 20 agosto 1868 scrisse: “Si è concluso, con grande enfasi, che queste povere piccole creature hanno portato la mortalità delle viti. Siccome questa mortalità è iniziata con forza prima del momento di vitalità di questi insetti, questo parere mi sembra poco probabile. Questi sono piccoli insetti giallo dorati, si percepiscono con difficoltà ad occhio nudo. Sembrano per la forma più degli onischi che degli afidi, credo che al più siamo materia per gli entomologi…”
Planchon rispose con dimostrazioni scientifiche. Anche questo però non convinse definitivamente. Il problema è che sembrava che gli insetti fossero molto numerosi sulle piante ancora in vigore, mentre sembravano diminuire sensibilmente sulle piante prossime alla fine. Le diffidenze furono poi superate.
Intanto Planchon continuò comunque le sue ricerche e riconoscendo i suoi limiti (essendo un botanico), si rivolse all’esperto di storia naturale Donnadieu. Osservarono l’insetto al microscopio e lo chiamarono Rhizaphis vastatrix (prendendo spunto dalla sua azione devastatrice sulle radici). Questo è il nome con cui la fillossera comparirà sulle prime opere scientifiche che la riguardano. Lo inviò anche ad un esperto entomologo di Parigi, Signoret, che lo riconobbe come un membro della famiglia Phylloxera. Fu chiamato allora Phylloxera vastatrix (fillossera devastratice). Da allora in poi fu per tutti, semplicemente, fillossera o… la Bête (la Bestia) come veniva spesso chiamata all’epoca.
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Un nuovo prezioso libro per la nostra biblioteca
Un nuovo libro, di grande valore culturale, entra a far parte della nostra biblioteca, in esposizione a Guado al Melo.
Si tratta di una stampa del XVI secolo di quello che è l'unico trattato di agricoltura occidentale del Medioevo, l'opera di Pietro de Crescenzi "Ruralium Commodorum libri XII" scritto nel 1307 a Bologna. Questa edizione, esattamente del 1561, tradotta dal latino in lingua italiana, è edita da Francesco Sansovino, editore di Venezia.
Ecco alcune bellissime pagine.
ProWein
Saremo presenti alla fiera ProWein al Padiglione 16 Stand C22 (presso il nostro importatore Consiglio Vino).
Sulla nascita dell'ampelografia 4: la nascita come scienza
Al di là delle singole ed importanti opere descrittive (qui e qui), il passo fondamentale che però ancora mancava per il progresso dell'ampelografia era quello di definire metodi di descrizione sicuri e comparabili, cioè un “linguaggio" comune che permettesse di mettere insieme e confrontare i dati raccolti dai diversi scienziati. La scienza non potrebbe esistere e progredire senza il confronto internazionale fra gli studiosi di un determinato settore.
Già nel 1873 iniziarono le prime riunioni internazionali per definire schede comuni di rilevazione dei caratteri dei vitigni. Il primo incontro avvenne a Vienna, su proposta di Herrmann Goethe, dove nacque una commissione internazionale che cercò soprattutto di identificare le varietà col loro nome primario, cioè quello che ha nel territorio di origine, e considerare tutti gli altri come sinonimi. Nel successiva congresso di Colmar (1875) si definiva una prima terminologia descrittiva.Nel 1924 nacque l’Ufficio Internazionale del Vino (poi diventato l’attuale OIV, l'Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino). Sotto la sua guida nel 1935, a Losanna, si istituirono delle commissioni di ampelografi da ogni paese, per creare le liste delle varietà da raccomandare in ogni regione viticola. Dal quel momento l’OIV divenne l’organo di riferimento mondiale per l'ampelografia. (un'idea veloce su cos'è l'OIV e come funzione si trova in questa presentazione per slides).
Nel 1949 Dalmasso e Branas proposero all’OIV l’istituzione di un registro internazionale delle varietà. Nel 1951 venne realizzata una scheda di catalogazione ampelografica, con l’importante contributo del prof. Italo Cosmo. Successivamente venne predisposto un nuovo “Codice internazionale dei caratteri descrittivi delle varietà e specie di vite”, con l’intendo di dare uniformità alla descrizione.
Infine, il perfezionamento di metodi di biochimica, genetica e di analisi morfologica con tecnologie sempre più avanzate ha portato alle revisioni del 1996 e poi del 2003 (e il lavoro continua…)
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