Sii il cambiamento che vorresti vedere avvenire nel mondo.

(Gandhi)

Sono felice di comunicarvi che con la vendemmia 2022 i nostri vini saranno certificati per la produzione di vino sostenibile, secondo lo dello standard unico di sostenibilità fissati quest’anno dal Ministero, col marchio SQPNI (Sistema Qualità Nazionale di Produzione Integrata). Il logo è la simpatica ape che vedete qui sopra, molto evocativa di una viticoltura rispettosa dell’ambiente e della salute. Non fermatevi però a questa apparenza un po’ naif: alla base c’è un sistema tecnico-scientifico molto rigoroso e solido, quello della viticoltura integrata volontaria.

Non diventiamo sostenibili ora perché ci certifichiamo. Viceversa, certifichiamo qualcosa che stiamo facendo da sempre. Chi ci conosce sa che lavoriamo fin dalla nascita di Guado al Melo perché sia un’azienda artigianale completamente sostenibile (dalla gestione della vigna, alla cantina di bioarchitettura, alla gestione della vinificazione, al riciclo dell’acqua piovana, alla diffusione della cultura del vino e del territorio, …). Lo siamo nell’essenza, nel nostro modo di vivere e nella costanza di evolvere nel tempo.

La nostra certificazione parte con la vendemmia 2022. Dovrete quindi aspettare un po’ per vedere la graziosa apina sulle nostre etichette. Il primo vino sarà l’Airone 2022, che uscirà più o meno a marzo 2023. Poi verranno tutti gli altri.

E’ necessario certificarsi allora? Sicuramente i sistemi di certificazione possono avere dei limiti, per questo non ci siamo certificati con sistemi in cui non credevamo. Se il sistema è fatto bene è però una garanzia in più nei confronti dei nostri clienti.

Perché solo ora? Era tempo che aspettavamo che la politica italiana definisse un sistema di certificazione unica di sostenibilità, basato su un sistema tecnico-scientifico rigoroso. Lo ha fatto in ritardo e, come sempre, in modo tortuoso e un po’ confuso, Siamo però fiduciosi che siamo all’inizio di un percorso che sarà sempre più fruttuoso.

Non è la nostra prima esperienza. La regione Toscana verifica già la nostra adesione alla viticoltura integrata volontaria. Inoltre, qualche anno fa avevamo già partecipato, come azienda-pilota, alla nascita della prima certificazione di sostenibilità italiana, Magis. Il progetto, nato nel 2009, supportato da diverse università e centri di ricerca, fu molto rigoroso. Venne riconosciuto fra i migliori al mondo dall’OIV. Purtroppo finì dopo pochi anni, perché troppo in anticipo sui tempi: molte aziende si sfilarono perchè non ci videro un ritorno di immagine.

Quindi, avrete capito che se anche la sostenibilità può sembrare un discorso nuovo, in realtà è un concetto ormai “stagionato”. Nasce dall’evoluzione dell’agricoltura integrata negli anni ’90. Dopo pochi anni nascevano già nei paesi vitivinicoli del Nuovo Mondo sistemi di certificazione uniche nazionali (prima in California, poi Nuova Zelanda, Cile, Sudafrica, …).

L’Italia (e l’Europa) è rimasta un po’ indietro a livello di certificazioni e di sostenibilità. Finora ci si accontentava della regolamentazione regionale della viticoltura integrata, peraltro ottima in Toscana (ho meno conoscenze dirette sulle altre regioni). Si è iniziato a parlare di sostenibilità in modo più diffuso solo negli ultimi anni, Sono così nate di recente diverse certificazioni, che hanno potuto beneficiare dell’impianto rigoroso già impostato da Magis. Quest’anno il Ministero ha iniziato a lavorare per definire uno standard unico, con alla base il sistema SPQNI.

Purtroppo questo ritardo è dovuto al fatto che da noi il dibattito pubblico sui temi di agricoltura/ambiente è da sempre dominato da discorsi più “di pancia” che di testa, ricchi di luoghi comuni e pratiche evocative, perfette per la politica o i media più superficiali o il marketing aziendale, ma poco o per nulla efficaci e concreti in vigna.

Se vogliamo fare realmente il bene dell’ambiente e di noi stessi, l’essenziale non è fermarsi agli slogan attraenti ma lavorare per trovare dei metodi realmente efficaci e che permettano di raggiungere degli obiettivi realizzabili.  Infatti, nonostante tutto questo, la ricerca viticola mondiale ha lavorato sodo in questi decenni e molti vignaioli sono stati al passo.

Come funziona la certificazione di sostenibilità

I pilastri della sostenibilità sono tre, strettamente intrecciati tra loro, quello ambientale, economico e sociale.

Parlando di vigna, la tutela dell’ambiente e della salute passa prima di tutto dalla base tecnico-agronomica, che è la viticoltura integrata volontaria (che già facciamo da sempre e che quindi ho raccontato sul nostro sito internet e in diversi post qui, qui, qui e tanti altri). Comprende le pratiche viticole multi-disciplinari che permettono di avere un’uva di grande qualità col più basso impatto (misurato) sull’ambiente. Ad esso si integrano altri elementi. Alcuni sono legati al lavoro in cantina, a partire dall’assoluta tracciabilità dal campo alla bottiglia finita, al contenimento dei prodotti di vinificazione (noi non ne usiamo), fino alla verifica di assenza di residui nel vino finito. Poi ci sono i parametri di impatto generali dell’azienda, in relazione al consumo energetico, all’acqua e al destino dei rifiuti e prodotti di scarto.

Se non sapete cos’è la viticultura integrata volontaria, ho messo un richiamo nel riquadro verde. Se la conoscete, saltatelo.

Cos’è la viticoltura integrata? È il modo più razionale per risolvere i problemi di impatto ambientale della viticoltura. Non è una “filosofia” ma semplicemente la scelta delle pratiche migliori disponibili, prese dalla tradizione e dalle migliori innovazioni, col fine di ridurre al massimo gli interventi umani e l’uso di ogni prodotto fitosanitario in vigna (possibilmente fino all’eliminazione) mantenendo nello stesso tempo un’adeguata qualità e quantità dell’uva (e del vino). Quindi una pratica è accettata solo se, contemporaneamente, soddisfa due condizioni: funziona bene e lo fa col minimo impatto sull’ambiente. È un sistema che beneficia ormai di decenni di studi e sperimentazione. Il concetto di “lotta integrata” è nato negli anni ’70, è cresciuto notevolmente nel tempo, con un importante salto soprattutto negli anni ’90.P

Perché si chiama integrata? Perché considera la vigna come un ecosistema integrato in cui interagiscono numerosi organismi viventi, influenzati dalla situazione del suolo, del clima e delle variazioni atmosferiche. L’approccio multidisciplinare, che riesce a mette insieme tutte le conoscenze su questi elementi, permette di ottenere il minimo impatto possibile in agricoltura.

Alcuni concetti cardine: Fra le pratiche utilizzate c’è una scala di priorità. Si privilegiano sempre prima quelle che permettono la prevenzione delle avversità. Dove non è possibile, si utilizzano sistemi di lotta biologica. Se non è possibile neppure questo, si ricorre all’uso di prodotti fitosanitari, scelti fra quelli che hanno dimostrato un’ottima efficacia e il più basso impatto sull’ambiente, usandone la quantità minore possibile, solo dove serve. In questo modo si può raggiungere un impatto bassissimo, che la ricerca sta cercando di abbassare sempre più. Per prendere le decisioni è fondamentale la raccolta dei dati che permettono di capire cosa sta succedendo (dall’osservazione della vigna alla raccolta dei dati atmosferici, …) così da intervenire puntualmente con i metodi migliori per quella situazione, solo dove serve. Un principio fondamentale è l’approccio integrato: ogni problema viene affrontato da più fronti, in modo da rendere minimale l’impatto di ciascun intervento. Un altro principio base è la soglia del danno, cioè non serve “sterilizzare” la vigna, ma è sufficiente che le avversità stiano sotto una soglia minima che non intacchi la qualità dell’uva.

Perché se ne parla poco ed è poco conosciuta? Sinceramente è il mio cruccio da sempre! Anche se se ne parla poco, è applicata da tantissime aziende di vignaioli italiani. Soprattutto mi chiedo perchè le aziende, le università, le regioni ed i tecnici che se ne occupano non ne parlano quasi mai. Oppure non sono ascoltati?!?! Mi sono data diverse spiegazioni. Si tratta di un sistema complesso, poco adatto alla semplicità richiesta dai media e dal marketing, che vogliono concetti poco ragionati, facili ed accattivanti. Nella mia esperienza mi sono anche accorta che questo sistema viene scelto in genere dalle aziende di vignaioli vecchio stampo, che non mettono al primo posto il marketing ma la cura ottimale della vigna, che in media sono dei pessimi comunicatori (scusatemi, ma purtroppo è così).

Non è però sufficiente. Per completare il concetto di sostenibilità, vengono verificati anche parametri relativi all’ambito economico e sociale, con una serie di verifiche sull’integrità dell’azienda nei rapporti con i propri lavoratori, per quanto riguarda la sicurezza e la valorizzazione, oltre che nei rapporti col territorio ed il resto della catena produttiva.

Cos’è la viticoltura sostenibile? È l’upgrade, il passo in avanti, della viticoltura integrata. Negli anni ’90 si è iniziato a riflettere sul fatto che non bastava considerare l’impatto in ambito ambientale. Perché ci sia vera sostenibilità, è necessario che esso si integri con gli aspetti economici e sociali.

Sostenibilità economica. Facciamo un esempio, ammettiamo che io trovi un sistema di coltivazione che non ha un impatto negativo sull’ambiente ma mi fa produrre pochissimo prodotto oppure esso è di scarsa qualità, oppure mi costa tantissimo produrlo … Allora quel sistema non è sostenibile, perché risolve un problema ma ne crea molti altri. L’agricoltura deve dare reddito alle persone che la svolgono, altrimenti rischia di sparire oppure deve dipendere dai fondi pubblici per sopravvivere. Inoltre deve offrire sufficienti prodotti alimentari al fabbisogno della comunità, sia come quantità che come qualità. Questo concetto di base in realtà è insito da sempre nella lotta integrata, che ha sempre cercato le pratiche con il più basso impatto ambientale ma che, nello stesso tempo, mantenessero un adeguato livello qualitativo e quantitativo del prodotto.

Sostenibilità sociale. Inoltre, ogni attività umana deve contemplare il rispetto per i lavoratori e le persone che vivono nel territorio, la correttezza verso fornitori e clienti (e tutta la catena che sta prima e dopo), l’interazione positiva con la propria comunità, il mantenimento e la divulgazione della cultura del prodotto e del territorio, …

Tutti questi elementi devono coesistere perché si parli di viticoltura sostenibile, cioè si deve trovare la migliore mediazione possibile fra di essi.   

È una certificazione di filiera e di prodotto. Significa, a differenza di altre, che si deve dimostrare ogni anno non solo di seguire determinati modi di lavorare, ma che si sono raggiunti gli obiettivi, dimostrati con l’assenza di residui in vigna e nel vino, per “conquistare” così il bollino sulle bottiglie.