Vediamo come il cambio climatico agisce sul vino, quali cambiamenti può portare nei territori di produzione e perché è meglio evitare scelte facili ma poco sostenibili.
Fino alla fine del ventesimo secolo quasi nessuno pensava più di tanto alla possibilità che il clima delle regioni viticole potesse cambiare. I cambiamenti sono tuttavia diventati evidenti e palpabili, soprattutto dalla seconda decade del 21° secolo. Il mondo del vino ha quindi iniziato a porsi seri interrogativi sul proprio futuro.
Il cambio climatico influisce sul vino dato che le caratteristiche di questo prodotto sono plasmate in modo importante dal clima e dall’andamento stagionale del territorio in cui l’uva è coltivata. Sono proprio i cambi di temperatura stagionali a determinare le fasi del ciclo della pianta. Inoltre, la temperatura influisce in modo importante sulla maturazione del frutto, determinandone caratteristiche organolettiche ed equilibri. Infine, anche la giusta disponibilità di acqua ha un ruolo fondamentale per una buona produzione vinicola.
In realtà già in passato il clima è cambiato notevolmente, determinando nel tempo lo spostamento degli areali dove era possibile la coltivazione dell’uva. Si tratta però di epoche molte lontane da noi, di cui non abbiamo conservato una memoria storica. In epoca etrusca e nei primi secoli di Roma il clima era ben più freddo di ora: si usciva da una piccola era glaciale. Le temperature poi salirono ed in epoca imperiale si entrò in un momento molto caldo, durante il quale la viticoltura si espanse notevolmente, si allargò ad altitudini maggiori e fu portata anche in regioni del nord Europa. Nel tardo Impero Romano la temperatura si abbassò di nuovo, con crisi agricole che aggravarono l’instabilità politica. Seguì poi il periodo caldo medievale, con una nuova importante espansione viti-vinicola, poi ridimensionata dalla Piccola Era Glaciale, che portò carestie ed epidemie in tutta Europa. Le temperature poi sono tornate progressivamente verso l’alto, più o meno stabilizzate dalla seconda metà dell’Ottocento. La nostra memoria storica si ferma più o meno a questo periodo, che fra l’altro è il momento in cui ha iniziato a plasmarsi la viticoltura moderna.
Ormai è chiaro che il cambio climatico stia procedendo in modo ineluttabile. Nelle vigne ha portato verso un progressivo incremento delle temperature medie. Si ha una sempre minore disponibilità di acqua nel periodo estivo, anche se in modo diverso nei diversi territori. Viceversa, in primavera spesso si hanno fenomeni estremi di piogge intense, che causano problemi di erosione se non alluvioni vere e proprie, a volte accompagnate da grandine o gelate tardive. Questi cambiamenti comportano inevitabili modifiche, alcune per il futuro ma diverse dovrebbero già essere introdotte da subito.
Il problema dell’acqua
Le temperature più alte dei cambi climatici e lunghi periodi di siccità si stanno traducendo in una minore disponibilità di acqua per diversi territori italiani. Il caldo peggiora la siccità, influendo su una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e di una maggiore perdita delle piante per traspirazione.
Ricordo che la vite non è una pianta molto esigente in fatto di acqua. È una pianta mediterranea, per cui non ne ha bisogno di grandi quantità, anzi teme i ristagni. Gli eccessi idrici possono comprometterne anche la sopravvivenza. Tuttavia deve averne abbastanza in certi momenti fondamentali del suo ciclo. Una disponibilità alta e continua di acqua non porta alla produzione di grandi vini. Si è sempre detto che un leggero stress idrico è importante nella produzione dei vini rossi, soprattutto in certe fasi della maturazione del frutto. Con gli studi scientifici si è spiegato questo fenomeno: il leggero stress idrico riduce la dimensione dell’acino, incrementando così l’accumulo dei polifenoli nella buccia e influenzando positivamente l’espressione aromatica, soprattutto nei vini da invecchiamento. Per i vini bianchi la situazione è più differenziata in base alle varietà e lo stress comunque dovrebbe essere molto più limitato, altrimenti sono più i danni che i benefici. In generale, lo stress idrico deve essere comunque moderato per portare benefici, altrimenti si perdono i vantaggi e si assiste ad una caduta importante della qualità delle uve. La disponibilità di una sufficiente quantità di acqua, infatti, è la condizione limitante più importante della viticoltura nei territori mediterranei o di climi caldi.
Potrebbe sembrare assurdo ma in queste ultime estati ci sono stati più problemi di stress in certe zone del nord che non nel centro e nel sud, seppure che qui abbia piovuto anche meno. A volte, nello stesso territorio, possiamo vedere vigne che stanno bene e altre in stress idrico, come quella dell’immagine qui sopra. Perchè?
Perchè subentrano diversi fattori essenziali che cercheremo di analizzare di seguito. Il primo è la capacità idrica del suolo, cioè la capacità di fornire abbastanza acqua alle viti quando serve. Questa può essere anche molto diversa fra le vigne di uno stesso territorio, anche vicine. Il secondo fattore è l’adattamento della vite alle situazioni di crescita. Se una vigna è cresciuta per anni in un ambiente che gli ha garantito una buona disponibilità idrica, si è adattata a questa situazione. Quando subentrano dei periodi di siccitià, non è “pronta” ad affrontarli e soffre molto di più di viti che hanno vissuto sempre in condizioni più limitanti. Ci sono poi altri fattori, come la scelta di varietà o portinnesti poco adatti, pratiche colturali non opportune, ecc. Vedremo meglio tutti questi aspetti di seguito.
Ad ogni modo, la soluzione più semplice che viene sempre prospettata per l’aridità crescente è quella dell’irrigazione. Purtroppo potrebbe essere la soluzione estrema, ma sarebbe meglio evitarla il più possibile. Di fatto, è una scelta assolutamente poco sostenibile. L’acqua è una risorsa sempre più preziosa e nel futuro dovremo pensare di risparmiarla sempre più per le necessità essenziali. Non possiamo pensare di utilizzarla in modo continuativo per produrre vino che, seppure ci doni piacere, non è un alimento indispensabile.
L’irrigazione della vigna non fa parte della nostra cultura storica viticola, mentre è già utilizzata ampiamente nei paesi del nuovo mondo del vino, dove spesso si sono fatte vigne in luoghi non adatti alla viticoltura. Già qui si vedono gli effetti negativi di queste scelte dominate da logiche capitalistiche di mercato. Non è però etico vedere aziende agricole (che producono beni non essenziali) consumare molta acqua quando questa manca alla popolazione locale per gli usi più basilari. Non è per ora il caso dell’Europa e non vorremmo vederlo succedere in futuro.
La soluzione più sostenibile, anche se più lunga e complessa, è quella di lavorare sulla scelta oculata dei luoghi dove fare le vigne, sulla scelta delle varietà, dei cloni e dei portinnesti più resistenti alla siccità. Inoltre, diventerà sempre più importante imparare le migliori pratiche viticole per queste condizioni. Vediamo ora in breve questi diversi aspetti.
L’aumento delle temperature e la scelta delle varietà
Nelle regioni di lunga tradizione vitivinicola i vignaioli hanno capito nei secoli quali fossero le varietà più adatte e le tecniche viticole più opportune per il proprio territorio, trovando un equilibrio ottimale fra produttività e qualità. Se cambiano le condizioni climatiche, si dovranno rivedere le scelte del passato.
Ogni varietà ha infatti un adattamento preferenziale verso certe condizioni climatiche. Alcune si sono dimostrate migliori di altre per un determinato territorio. Questo significa che riescono a maturare in modo ottimale, esprimendo un buon equilibrio nel rapporto fra zucchero e acidità oltre che per la componente aromatica e polifenolica. La mancanza di equilibrio in ambienti freddi porta alla produzione di vini troppo acidi, taglienti e vegetali. Nei climi più caldi il rischio peggiore, se non c’è equilibrio, è di avere vini troppo alcolici, piatti e pesanti, non bilanciati da freschezza, con pochi aromi e tendenzialmente “cotti”. In mezzo fra questi due estremi c’è l’infinita scalarità di situazioni che porta alla produzione di vini con caratteristiche sensoriali diverse. La tendenza del cambiamento climatico va verso il caldo, quindi il rischio è soprattutto legato alla perdita di freschezza e di complessità aromatica.
L’alterazione di questi equilibri dipende da diversi fattori. I cambimenti di temperatura stagionali influiscono sulle fasi del ciclo della vite, alterando tutti le fasi, soprattutto le tempistiche della maturazione. Inoltre numerosi studi hanno ormai dimostrato come la temperatura ha effetti diretti sulla maturazione. L’eccesso di calore nel periodo estivo porta ad alterazioni dei processi metabolici che avvengono durante la maturazione del frutto, come ho già raccontato in precedenza qui.
Se c’è un aumento delle temperature, le fasi del ciclo della vite tendono a velocizzare. Questo può comportare, ad esempio, un germogliamento anticipato. Nei territori a rischio di gelate primaverili può essere un problema. Il rischio aumenta soprattutto se si hanno varietà sensibili, come il Sangiovese o il Nebbiolo.
Un clima che diventa più caldo comporta il cambiamento dei tempi di maturazione delle uve, rischiando di far uscire certe varietà dalla finestra temporale ottimale di maturazione per quel determinato territorio. Nel nostro emisfero si è visto più o meno che la finestra di raccolta ideale va dall’inizio di settembre alla prima metà di ottobre, con variabili legate ai singoli territori (oltre che per la produzione di vini particolari). Di media questa finestra viene individuata incastrando insieme due necessità fondamentali:
1. il momento migliore perché le uve abbiano il tempo sufficiente per una maturazione abbastanza lenta e graduale così da avere un buon equilibrio,
2. che le condizioni climatiche del periodo della raccolta si mantengano abbastanza buone da non compromettere la qualità del frutto.
Se l’ambiente è troppo caldo per un determinato vitigno, tutte le fasi possono essere troppo veloci, la maturazione diventa troppo precoce, non permettendo al frutto di accumulare in modo equilibrato tutte le sostanze che portano alla nascita di un buon vino. Viceversa, se il clima è troppo freddo per un determinato vitigno, si possono avere tempi troppo lunghi. In questo caso il rischio è di non raggiungere mai una maturazione sufficiente prima che le temperature inizino a scendere, bloccando così il processo prima della sua conclusione. Oppure si potrebbe raggiungere la maturità ideale in momenti in cui le condizioni metereologiche peggiorano in modo importante (temporali, grandinate, ecc.), rendendo molto difficile la raccolta di uva sana.
Nei territori europei con una lunghissima tradizione viticola la selezione delle varietà che oggi riteniamo “storiche” o “autoctone” è avvenuta in realtà soprattutto fra l’Ottocento e il Novecento. I criteri di scelta erano legati alle condizioni climatiche di quei periodi. Cambiando il clima, dovranno cambiare anche i criteri di selezione. Parlando in modo molto generale, in passato, quando le temperature erano mediamente più fresche, sono stati favoriti i vitigni più produttivi, con tempi di maturazione precoci, con alti accumuli di zucchero. Con l’innalzamento delle temperature si dovrà ripiegare su varietà con caratteristiche opposte: vitigni con maturazione più tardiva, più acide e meno zuccherine.
Nel Vecchio Mondo abbiamo un serbatoio storico di vitigni enorme che ci possono venire in aiuto. Molte delle varietà poco usate o abbandonate nei secoli passati, perchè non adatte alle condizioni climatiche di allora, potranno tornare ad essere risorse importanti per l’oggi e per il domani. Per assurdo, potranno esserci più problemi nei paesi del nuovo mondo dove, pur non essendoci in genere restrizioni sulle varietà da utilizzare, in realtà si usa un numero di vitigni molto più limitato, senza conoscenza di tutti gli altri.
Ad esempio, una delle varietà che si vede che sta subendo di più il cambio climatico è il Merlot. In particolare, è guardata e studiata con preoccupazione nella sua regione originaria, Bordeaux. Nello studio di cui riporto di seguito i risultati si è cercato di capire come è cambiata nel tempo la data della vendemmia a Bordeaux per diverse varietà. Nei grafici seguenti sono indicate con le iniziali: il Sauvignon blanc (S bl), Merlot (M), Cabernet franc (CF), Cabernet sauvignon (CS). La prima linea indica il periodo medio della vendemmia per ogni varietà negli anni 1951-1980, la seconda per gli anni 1981-2021, la terza per lo spesso periodo (1981-2021) in una zona un poco più calda (che registra +1°C rispetto a quella precedente). I colori indicano le temperature medie del periodo: si va dal rosso che indica le temperature più calde al blu, per quelle più fredde. Confrontando le tre righe, si vede come si spostano le caselline delle varietà: la vendemmia è sempre più anticipata per ciascun vitigno. Il riquadro rosso evidenzia la finestra temporale di raccolta ritenuta la migliore per il territorio, quella che presenta le temperature ottimali. Come si vede nei grafici, diverse varietà sono già uscite dalla finestra temporale ottimale per il territorio, come il Merlot e il Sauvignon blanc.
I portinnesti
Le varietà sono importanti ma ricordiamoci che è il portinnesto che determina la parte radicale. Ricordiamoci anche che per le piante la parte più importante nella mediazione con l’ambiente è quella che sta sotto terra, più che quello che c’è fuori. Le radici hanno un ruolo centrale, come ho già raccontato in questi due post dedicati (qui e qui).
Come per le varietà, la scelta dei portinnesti da sempre dipende dal tipo di suolo e di clima. Già ci sono portinnesti studiati per i climi più aridi. Altri ne sono stati creati di recente, sempre più mirati per il cambio climatico. Ricordo quelli della serie M studiati dall’Università di Milano, che sono nati dall’ibridazione con viti americane originarie di luoghi particolarmente aridi.
Non è però tutto risolto perché in viticoltura la ricerca non è semplice. Se qualcosa funziona sulla carta o in condizioni sperimentali, non è detto che avvenga lo stesso in campo. Le variabili di adattamento di un portinnesto sono moltissime per ogni territorio e micro-territorio. Inoltre, si deve considerare anche l’affinità fra il portinnesto e la varietà produttiva. Aggiungete il fatto che per avere risposte in viticoltura, è necessaria una sperimentazione in campo di almeno un decennio, che permetta di limitare le variabili legate ai cambiamenti di annata.
Luoghi dove fare viticoltura
La scelta del luogo dove fare una nuova vigna dovrebbe essere molto accurata. Bisogna ammettere che a volte dipende più da motivi di opportunità o economici che dalla scelta qualitativa. Tuttavia, con l’acqua che diventa sempre più un limite, diventerà sempre più importante non andare a caso ma procedere con analisi approfondite per capire la potenzialità idrica del suolo.
Questa capacità è legata a diverse caratteristiche, in particolare la profondità. Un suolo profondo è in grado di far espandere notevolmente l’apparato radicale della vite. Per profondità si intende la parte di suolo esplorabile dalle radici, prima della roccia madre. Anche in un suolo apparentemente profondo possono esserci però ostacoli insormontabili che lo limitano, come zone fortemente calcaree o viceversa acide o banchi rocciosi o altri impedimenti. Ad esempio, suoli con componente argillosa troppo alta possono diventare duri come la pietra se l’estate è molto calda e arida. Più il suolo è profondo, più la vite può espandere al meglio il suo apparato radicale, raggiungendo zone umide anche nelle stagioni più aride. Inoltre, è importante la posizione. Siccome (banalmente) l’acqua scorre verso il basso, in condizioni limitanti è meglio scegliere terreni pedecollinari o di fondo valle, non fianchi ripidi. Non a caso a Bolgheri o altri territori semi-aridi o aridi, la viticoltura si è sviluppata storicamente nell’area bassa delle colline e in pianura.
Non basta tuttavia la profondità del suolo ma è essenziale anche l’adattamento della vite. La vite nel corso della crescita si adatta alle condizioni in cui si trova. Se c’è poca acqua, mette in atto tutta una serie di strategie che gli consentono di limitare il problema, come ad esempio lo sviluppo di un ampio sistema radicale e altri adattamenti fisiologici. Se la pianta è invece cresciuta avendo a disposizione abbastanza acqua, non ha la necessità di sviluppare tali adattamenti, che il suolo sia profondo o meno. Questo è il motivo per cui solitamente si consiglia di non irrigare troppo le giovani viti, per stimolarle a produrre radici.
Avrete quindi capito da queste considerazioni perché la siccità delle ultime estati ha mostrato spesso effetti più negativi in certe vigne del nord Italia che del centro e del sud, anche se l’entità di pioggia caduta non è proporzionale. Semplicemente perchè sono vigne non adattate a condizioni siccitose, per cui sono molto più fragili al problema. Oltre tutto, tradizionalmente nei climi continentali si sono privilegiati per le vigne i luoghi che evitassero i ristagni idrici, come i fianchi ripidi delle colline e delle montagne, luoghi che non trattengono l’acqua. In più, sono luoghi che presentano spesso suoli poco profondi. Qui le viti possono sviluppare apparati radicali modesti e superficiali. Sono tutte condizioni per le quali può avere un effetto deleterio anche anche un periodo non necessariamente eccessivo di siccità. Viceversa nelle zone già semi-aride del centro e del sud, la siccità può aggravarsi ma è un problema con cui vigne e vignaioli sono abituati a confrontarsi da sempre. Quindi, da sempre si sono scelti i terreni con maggiore potenzialità idrica, così come le viti sono cresciute adattate a queste condizioni (senza dimenticare la scelta dei portinnesti, varietà, ecc.).
I cambi climatici sembrano prospettare nel tempo anche uno spostamento dei luoghi storici della viticoltura. Storicamente, le vigne hanno salito e sceso le montagne più volte in seguito ai cambiamenti climatici. In montagna la temperatura diminuisce di 0,65° per ogni 100 m di altezza. Alzare le vigne, se non ci sono altri limiti (le caratteristiche del suolo, la disponibilità di acqua, l’esposizione, ecc.), è da sempre un sistema per contrastare gli aumenti di temperatura.
C’è chi paventa anche cambi importanti di latitudine, con un futuro che potrebbe vedere la scomparsa della viticoltura da territori tradizionali e l’espansione in paesi senza tradizione. Probabilmente un po’ accadrà, ma non corriamo troppo. Periodi caldi ci sono stati anche in passato, con la conseguenza di ampliare gli aerali di produzione a zone più nordiche. Tuttavia, i paesi tradizionali non hanno mai perso più di tanto terreno. Dipenderà anche dai vignaioli, quanto si impegneranno a mettere in pratica gli adattamenti necessari. Diversi studi, come quello da cui ho preso questo grafico, prospettano previsioni fosche per il futuro viti-vinicolo dell’Italia, anche se non tutti sono così drammatici. Qui si prospetta la scomparsa della viticoltura quasi ovunque in Italia per il 2050. Tuttavia la produzione italiana andrà sicuramente incontro a cambiamenti.
Cambiamenti nelle forme di allevamento e altre pratiche agricole
In questo grafico (da “Modelling climate change effects on viticulture”, di João Santos et. al.) si riassumono i cambiamenti che progressivamente saranno richiesti ad un territorio col peggioramento del cambio climatico (il tempo nell’asse delle y). Nell’ordine, con i primi segni di cambio climatico, si dovrebbe iniziare ad adattare le pratiche colturali, cioè le potature, le ombreggiature dei grappoli (invece che defogliature), una gestione diversa del suolo, ecc. In seguito o in parallelo, potrebbe essere richiesta l’introduzione dell’irrigazione, anche se, come detto, è una scelta molto poco sostenibile. Insieme o poco dopo, si dovrebbero introdurre cambiamenti nei sistemi di allevamento e variazioni nell’impostazione delle vigne, come spaziature più ampie fra ceppo e ceppo. Intanto, diventa necessario anche ripensare le varietà (e i cloni) in abbinamento ai portinnesti. Andando avanti, ci sarà la necessità di spostare le vigne nelle aree del territorio più adatte, soprattutto quando si realizzano nuovo impianti. Infine, se il cambiamento diventa estremo, si può arrivare all’abbandono della viticoltura in quel territorio.
Tutti questi elementi sono essenziali. Le forme di allevamento della vite storiche sono molto, adatte alle più diverse situazioni climatiche e all’esigenze della varietà. Nella viticoltura moderna si è puntato ad una certa uniformità, a volte in base a mode viticole o per imitare territori di successo o, nel caso delle produzioni più industrializzate, per semplificare gli interventi meccanici. Il cambio climatico ci spingerà a tornare a mettere al primo posto la scelta del sistema migliore di allevamento nell’adattamento fra varietà, clima e suolo. Ad esempio, in alcune zone della Francia si stanno già facendo ricerche sull’opportunità di ritornare a forme di allevamento alte, che erano state abbandonate in molti territori a favore di quelle basse. L’altezza del tronco fa registrare cambi di temperature anche importanti per le gemme ed i grappoli, oltre a cambiare diversi aspetti generali della fisiologia della pianta. Nelle gelate primaverili l’aria più fredda è quella più vicina al suolo, mentre si scalda anche di qualche grado salendo verso l’alto. Non a caso, storicamente, nei territori sottoposti ai rischi di gelate le forme di allevamento tradizionali erano quelle a vite alta. Il contrario può succedere in estate, durante la maturazione, con temperature a volte molto calde vicino al suolo e che scendono allontanandosi da esso. In uno studio fatto a Saint-Emilion sono stati installati sensori di temperatura a diverse altezze (30-60-90-120 cm). Nei diversi casi si è rilevato un indice di Winkler* significativamente diverso, con temperature medie più basse all’altezza di 120 cm rispetto ai 30 cm dal suolo. Questa differenza si traduce in un possibile ritardo di maturazione di circa 7 giorni.
*indice di Winkler: è un indice usato in viticoltura per confrontare diversi territori o zone. Si ottiene con la somma della temperatura media di tutti giorni compresi fra aprile e ottobre (il periodo di attività della vite)
In altre situazioni pedoclimatiche, soprattutto dove il caldo è associato a maggiore aridità, invece sono le forme basse a poter essere le più opportune. Infatti la forma di allevamento da sempre più diffusa nei territori caldi mediterranei è quella dell’alberello e le forme a ceppo basso derivate da esso.
Un cambiamento nelle vigne di cui si sta già molto parlando, è quello di tornare ad allargare gli spazi fra filari e fra le viti, per consentire ad ogni pianta di poter avere più spazio che si traduce in una maggiore espansione dell’apparato radicale, con più terreno da esplorare alla ricerca di nutrienti e acqua.
Si è parlato anche di modificare le pratiche viticole. Quelle adatte ad un clima più caldo sono quelle già messe in pratica nelle zone mediterranee e aride, che ho descritto spesso. Ad esempio, ricordo che rispetto ai climi più freschi, più il clima è caldo più c’è la necessità di cambiare tutti i lavori in vigna in modo da alzare un po’ le rese produttive, per avere un equilibrio migliore delle uve, in particolare per evitare concentrazioni troppo alte di zuccheri (e di conseguenza di alcol). Un’altra pratica utile è quella di ombreggiare i grappoli, evitando le defogliature, …
La potatura tardiva è utile per diversi scopi, in quanto ritarda tutte le fasi del ciclo della vite. Da un lato ritarda il germogliamento, così da limitare il rischio delle gelate primaverili. Consente anche di spostare in avanti il periodo di maturazione e raccolta dell’uva, in modo che avvenga in una finestra temperale migliore, cioè in un periodo un po’ meno caldo.
Gli studi scientifici sui cambiamenti climatici si stanno concentrando anche su come cambia la maturazione del frutto variando la dimensione della chioma della pianta, cioè la massa delle foglie. Gli studi del Novecento avevano fissato dei parametri ottimali che non possono essere più considerati validi. Ad esempio, in un clima continentale finora si considerava che per avere una maturazione ottimale (in particolare un buon accumulo zuccherino) ci dovesse essere un rapporto di almeno 1 metro quadro di superficie fogliare per ogni Kg di uva. Col caldo questo dato va abbassato, come già si fa nei climi mediterranei. Un rapporto più basso porta ad un ritardo nell’invaiatura, ad un minor accumulo di zucchero e di colore nei rossi, senza particolari effetti sull’acidità totale.
Ci sono poi numerosi studi in corso che stanno valutando altri aspetti del cambio climatico e che hanno bisogno di ulteriori approfondimenti. Ad esempio, sembra che livelli più alti di anidride carbonica portino ad aumentare la temperatura media ottimale per la fotosintesi delle viti, con un effetto di abbassamento della traspirazione. Alcuni studi stanno cercato di capire come il cambio climatico possa modificare la microbiologia del suolo ed il suo impatto sulla capacità di resistenza alla siccità da parte delle piante coltivate. Questi e altri aspetti saranno compresi col tempo.
Cosa fare in conclusione
In conclusione la viticoltura si deve preparare sempre più ad affrontare gli effetti del cambio climatico in corso. Dovrebbe farlo però cercando soluzioni che mantengano questa attività sostenibile e non ricorrendo in modo indiscriminato all’irrigazione. La vite è una pianta mediterranea, che non richiede comunque tanta acqua, salvo che sia coltivata nei suoli giusti, con le pratiche viticole opportune, scegliendo le varietà-portinnesti più adatti. L’aspetto più preoccupante è il ritardo con cui sembra che si stia facendo tutto questo, soprattutto in Italia che, oltretutto, è fra i paesi più esposti alle conseguenze del cambio climatico.
Le aziende dovrebbero già tener conto di tutto ciò quando realizzano nuove vigne. Se è impossibile modificare certe cose negli impianti esistenti, quando si va a realizzare una nuova vigna si può iniziare a ragionare con criteri diversi rispetto al passato, valutando il luogo migliore, nuove forme di allevamento, spazi fra i filari più ampi, varietà e portinnesti diversi, ecc. A rotazione poi le vigne andranno rifatte nel tempo e quindi si potranno introdurre ovunque i cambiamenti necessari.
Sono comunque indispensabili studi mirati se non si vuole procedere in modo casuale o con adattamenti approssimativi, fatti copiando le scelte di altre aree più o meno simili. Anche se i concetti basilari possono essere universali, l’applicazione viticola resta comunque sempre molto locale. Molte ricerche possono essere condotte da università e centri di ricerca o vivai. Non si può però pensare che questi enti riescano a derimere i problemi per ogni singolo territorio, esposizione e micro-clima. Diventa sempre più importante (anche se lo è sempre stato) che ogni azienda pensi a dedicare qualche spazio delle proprie vigne ad una sperimentazione interna sul lungo periodo, per prepararsi con dovuto anticipo le possibili strade per il futuro.
Bibliografia ed approfondimenti:
C. van Leeuwen at al, “An update on the impact of climate change in viticulture and potential adaptations”, Special Issue “Viticulture and winemaking under climate change”, Agronomy 2019, 9(9), 514
L. Allamy et al., “How climate change can modify the flavor of red Merlot and Cabernet sauvignon wines from Bordeaux”, https://ives-openscience.eu/4870/
E. Archer and A. Saymaan, “Vine roots”, 2018 The Institute for Grape and Wine Sciences (IGWS), Stellenbosch University
Payan J-C., 2012 d’après García de Cortázar I., 2006, in Viticulture et changement climatique : adaptation de la conduite du vignoble méditerranéen.