Buona parte del grande fascino del vino sta nei suoi profumi. Cercheremo qui di capire come nascono e, soprattutto, come è possibile una variabilità così elevata.


(immagine di copertina da Isak S. Pretorius, 2017 Critical Reviews in Biotechnology, 37:1, 112-136)

Quanti sono i profumi che può avere il vino? La complessità aromatica e le diversità che si trovano in questa bevanda sono incredibili. Esistono vini più semplici, con pochi aromi, ed altri dall’incredibile ricchezza. Eppure ciascuno è diverso dall’altro. Ci sono anche differenze fra vini che nascono dalle stesse varietà e territori.

Come è possibile una tale complessità e variabilità?

Fragole, ciliegie e il bacio di un angelo in primavera / Il mio vino è davvero fatto di tutte queste cose

(Summer Wine, di Nancy Sinatra)

Summer Wine, in una versione recente di Lana del Rey: “Fragole, ciliegie e il bacio di un angelo in primavera / Il mio vino d’estate è davvero fatto di tutte queste cose
Ho camminato per la città con speroni d’argento / Che risuonavano al ritmo di una canzone che ho cantato solo per pochi / Lei vide i miei speroni d’argento e mi disse “passiamo un po’ di tempo insieme”/ E io ti darò il mio vino d’estate / ohh-oh-oh vino dell’estate
Fragole, ciliegie e il bacio di un angelo in primavera / Il mio vino d’estate è davvero fatto di tutte queste cose / Togliti gli speroni e passa il tuo tempo con me / E io ti darò il mio vino d’estate / ohh-oh-oh vino d’estate …

Proverò ora spiegarvi come i profumi del vino nascono dalla vigna ed arrivano fino alla bottiglia. Soprattutto, cercherò di farvi capire da dove deriva tutta la diversità aromatica che il vino sa esprimere, di come è possibile esaltarla o, viceversa, come sia anche facile perderla.

Nei riquadri che seguono ci sono alcune semplici informazioni di base sulle molecole aromatiche e sull’olfatto. Sono utili anche per capire alcuni termini specifici, che sono molto spesso utilizzati nel mondo del vino. Subito dopo, entreremo nel cuore del profumo del vino.

Oggi, grazie a tecniche di analisi sempre più sofisticate, siamo arrivati a definire dal punto di vista chimico centinaia di componenti aromatici nei vini. Le molecole aromatiche, cioè le sostanze responsabili dei profumi, sono di tanti tipi diversi. Hanno però tutte in comune la capacità di interagire con i nostri recettori olfattivi che si trovano nella cavità nasale. La loro aromaticità dipende dal fatto di essere volatili, cioè hanno una marcata tendenza a passare dallo stato liquido a quello aeriforme. Riescono così a raggiungere i nostri recettori olfattivi, usando due vie. Possono passare dal naso, quando annusiamo. Possono però anche arrivarci dalla bocca, quando abbiamo il vino nella cavità orale, attraverso le vie retro-nasali. Nel primo caso tendiamo a parlare di profumi, nel secondo in genere si parla di aromi, ma si tratta sempre dello stesso organo di senso. Per questo motivo, per il vino, si parla di profilo aromatico, comprendendo l’intera gamma che esprime di profumi ed aromi.

Perché nella produzione del vino, il naso di persone esperte è ancora lo strumento privilegiato per prendere determinate decisioni? Partendo dalla sola analisi chimica non è semplice risalire a come sarà il profilo aromatico di un certo vino, perchè l’espressione aromatica di queste molecole non è sempre facilmente prevedibile. Alcune sono percepibili solo al di sopra di certe concentrazioni, altre sono dominanti nel profumo anche se presenti in poco più di tracce. Alcune cambiano il tipo di sensazione che ci trasmettono a seconda della loro concentrazione o possono diventare anche sgradevoli. Alcuni composti aromatici hanno un’azione sinergica: se sono presenti insieme, danno una sensazione odorosa diversa. Non solo: gli studi fatti finora hanno dimostrato che risulta molto difficile prevedere la volatilità di una molecola aromatica in una miscela complessa (come è il vino), perchè viene influenzata in questo aspetto dalle altre. Anche la parte non volatile del vino (fatta da polifenoli, polisaccaridi, glucosio e altre sostanze) ha un’influenza, in un modo non ancora completamente chiarito, sulla volatilità della componente aromatica.

L’olfatto è un senso incredibilmente complesso e molto potente. Abbiamo circa un migliaio di tipi diversi di recettori olfattivi. Ogni molecola aromatica attiva una combinazione diversa di questi recettori. Quindi, considerando una possibilità combinatoria potenzialmente infinita, il nostro naso può riconoscere un numero elevatissimo di sostanze odorose. Ha però anche una componente molto personale. Prima di tutto, la nostra capacità individuale olfattiva è influenzata dalla genetica. Questo non significa solamente che qualcuno è più dotato di altri, ma anche che le diverse persone possono realmente percepire le sensazioni in modo diverso. Inoltre, intervengono anche importanti fattori psicologici. Legare una sensazione aromatica ad un nome (rosa, viola o altro) mette in gioco la nostra memoria olfattiva, cioè il ricordo di aver già sentito una sensazione simile e di averla “classificata” con quel nome. In una miscela complessa come il vino, gli aromi non sono sempre netti e definiti e le associazioni che possiamo fare non sono quindi univoche: connettiamo una certa sensazione odorosa a quella più simile che c’è nella nostra memoria. Quindi, questa connessione può variare a seconda delle nostre esperienze. Sicuramente, chi è più abituato a sentire profumi ha una memoria olfattiva più allenata a riconoscere e a dare un nome a determinate sensazioni. Inoltre, i numerosi studi fatti finora hanno dimostrato anche che la nostra capacità olfattiva è influenzata dalle situazioni contingenti: dallo stato d’animo del momento, dai pregiudizi e dalle aspettive che si sono radicati in noi (inconsciamente o meno), dalla suggestione creata da altre persone, … Per tutti questi motivi, negli studi di analisi sensoriale, dove non si assaggia per piacere ma per cercare di descrivere un vino nel modo più oggettivo possibile, si lavora sempre con gruppi di persone, per cercare di superare l’individualità, organizzando i test ed esaminando i risultati secondo accurate valutazioni statistiche.

Vista l’importante componente individuale, chi beve vino per piacere non dovrebbe quindi sentirsi in soggezione ad esprimere liberamente le proprie sensazioni. Se vogliamo migliorarle, non è poi così difficile. Basta allenarsi annusando spesso aromi singoli (i diversi frutti, erbe aromatiche, spezie, ecc.), così che rimangano impressi nella nostra memoria olfattiva.

Da dove arrivano gli aromi del vino

Sentendo parlare di profumi di pesca o rosa o frutti di bosco nel vino, chi non conosce il settore spesso chiede se questi aromi vengano aggiunti durante la produzione. La risposta è che non ce n’è bisogno: i profumi del vino hanno tutti origine dall’uva e dalla vinificazione. L’aggiunta di aromi potrebbe essere una scorciatoia, ma in Italia è una pratica vietata per legge.

Come è possibile allora che il vino possa profumare di pesca o di rosa (o di tante altre cose)? È possibile perchè le molecole che danno queste sensazioni aromatiche sono comuni fra le diverse specie del regno vegetale. In questo ambito, la vite è decisamente particolare: ha una ricchezza aromatica potenziale unica. Proprio questa caratteristica ha fatto dell’uva, nella storia, la regina delle materie prime con cui produrre una bevanda fermentata.

L’uva di per sé non ha però molti profumi. Ci sono alcune varietà di uva più profumate delle altre, che sono definite per questo “aromatiche”, come ad esempio i Moscati. La maggior parte dei profumi che sentiamo nel vino derivano dall’uva ma si tratta di molecole che nel frutto sono in una forma non odorosa. Sono dette precursori aromatici. Non sono percepibili all’olfatto perchè le molecole aromatiche sono legate con altre che ne impediscono la volatilità. Possono diventare volatili solo se viene rotto il legame con le molecole che gli fanno da “ancora”. Questa rottura può avvenire durante la vinificazione, come vedremo.

Sia gli aromi liberi che i precursori definiscono i cosiddetti aromi varietali. Questa parola non tragga però in inganno: non sono specifici per ogni singola varietà. Molte di queste molecole sono infatti presenti in tutti i vitigni, pur in quantità ed espressioni diverse.

Gli aromi varietali sono numerosi. Li possiamo raggruppare in 4 famiglie che, come detto, sono diffuse nel regno vegetale, per cui danno profumi che ricordano altre piante, frutti e fiori:

  1. Una famiglia molto estesa è quella dei composti terpenici, che danno aromi di rosa, tiglio, mughetto, citronella, … ma anche quella sensazione composita di “moscato”
  2. derivati dei carotenoidi, che danno profumi complessi di fiori, frutti esotici, mele, violetta, tabacco, tè, frutti di bosco, …
  3. le metossipirazine, che danno note di peperone verde, asparagi, sentori terrosi, …
  4. composti tiolici, possono contribuire in diversi casi alle note di cassis, frutto della passione, ginestra, foglia di pomodoro, pesca, eucaliptus, … Si sviluppano anche nella fermentazione, dove spesso sono responsabili di cattivi odori.

Alcune molecole aromatiche si possono sviluppare al momento dell’ammostamento (quando si pigia l’uva): sono detti aromi prefermentativi. L’esempio più tipico sono le aldeidi, che danno sentori di erba tagliata. Con la rottura del frutto, alcuni enzimi entrano in contatto con la pruina, la materia cerosa che riveste la buccia, e la trasformano. Più è forte lo stress meccanico a cui è sottoposto l’acino, più si originano queste sostanze. In realtà, oggi sono molto meno importanti che in passato: è ormai comune l’utilizzo di macchinari per la pigiatura o la pressatura che agiscono in modo molto soffice.

Principalmente invece, altre molecole aromatiche si formano per azione di lieviti e batteri, sia durante la fermentazione, come prodotti secondari del processo, che in altre vie metaboliche, partendo da sostanze che sono presenti nel mosto/vino (soprattutto aminoacidi). Tutti questi aromi sono detti fermentativi. Nel loro complesso, rappresentano la base aromatica specifica del vino, quella sensazione “vinosa” che ci fa capire che stiamo odorando del vino anche ad occhi chiusi. Questo nucleo aromatico, che il prof. Ferreira dell’Università di Saragozza definisce matrice “vinosa”, è un insieme di composti eterogenei. Per chi sa di chimica, comprende alcol superiori (note “vinose”), esteri etilici degli acidi grassi (miele, cera, diversi aromi floreali, …), esteri acetici degli alcoli superiori (banana, mela, caramella, rosa), acidi grassi volatili (acido acetico, …). Finora ne sono stati identificati 27. In ogni vino possono essere diversi per presenza e quantità. L’acetato di etile, l’estere più importante del vino ma anche il meno positivo, è responsabile delle note di acescenza (non l’acido acetico, come spesso si crede). In piccola parte è prodotto dai lieviti nella fermentazione. A basse dosi sembra contribuire in modo positivo all’insieme aromatico. Quando è di più, deriva quasi sempre da inquinamenti di batteri acetici.

Ho provato a schematizzare in modo molto semplice quanto descritto nel testo: l’origine degli aromi, le loro possibili trasformazioni ed i principali elementi che possono influire. Questi ultimi sono descritti nel dettaglio nel paragrafo successivo.

Vi ho descritto quello che è il nucleo base dei profumi del vino. Ci sono poi diversi altri elementi che possono arricchirlo o alterarlo. La fermentazione malo-lattica, condotta soprattutto dal batterio Oenococcus oeni, porta alla formazione di altri acidi grassi ed esteri, che possono dare un odore burroso. Nella vinificazione e nell’invecchiamento si possono avere altre reazioni chimiche che agiscono sugli aromi e li modificano: esterificazioni, ossidazioni, riduzioni, idrolisi, ecc. Se si usano determinati contenitori, ci possono essere rilasci di aromi (soprattutto se si usano botti nuove) opppure condizioni che favoriscono l’ossidazione (come il cemento o le anfore). Se si fa l’affinamento sui lieviti (feccia fine), questi rilasciano aromi tipici di questo passaggio (crosta di pane, lievito). Non entro ora nell’ampia e complessa parte di quelli che sono definiti “difetti olfattivi”, di cui parleremo un’altra volta.

Riassumendo, in generale, il profilo aromatico del vino si basa sulla matrice vinosa, sulla quale s’innestano gli aromi varietali suddetti. Tutti questi aromi si integrano fra di loro come gli strumenti di un’orchestra, in una complessa relazione fra di essi e con la componente non volatile del vino, che ne modula l’espressione olfattiva. 

Da dove deriva tutta la complessità che si trova nei vini?

La maggior parte degli aromi varietali si accumula in modo più o meno progressivo nel corso della maturazione dell’uva. Le metossipirazine invece fanno un percorso contrario: sono massime nella piccola bacca verde e sono demolite nel corso della maturazione. Possiamo quindi capire che le condizioni in cui avviene la maturazione (il suolo, il clima, l’annata, certe scelte ed interventi colturali) possono influire sulla componente aromatica, cambiando equilibri interni del frutto. Si ribadisce quindi come la qualità dell’uva sia veramente fondamentale per un grande vino. Uve povere, coltivate male, non sane, ecc. non daranno mai grandi prodotti. Allo stesso modo, è importante la decisione del momento della raccolta. Se si fa la vendemmia prima o dopo, si avranno presenze diverse di aromi. Ad esempio, il sentore di peperone verde è spesso descritto come tipico del Cabernet sauvignon e altre varietà, ma è solo parzialmente vero. Il tenore di metossipirazine, responsabili di questo aroma, diventa importante nel vino se si raccoglie troppo presto. Si è visto che le metossipirazine sono anche notevolmente influenzate dalle condizioni ambientali: è più facile trovarle nei vini di climi più freschi piuttosto che in quelli più caldi e con alta irradiazione solare, dove sono degradate molto più velocemente.

I precursori aromatici, come abbiamo visto, sono liberati nella vinificazione. Quindi, nel mosto/vino in nascita c’è una riserva di aromi in potenza, derivati dall’uva, ma non è automatico che si esprimano nel vino. Possono esprimersi o meno, in tutto o in parte, a seconda di come avviene la vinificazione (e le fasi successive). Le condizioni di queste fasi influenzano notevolmente anche gli aromi puramente fermentativi, quelli che formano la matrice vinosa di cui parlavo sopra.

Immagine da Vilela, A. Modulating Wine Pleasantness Throughout Wine-Yeast Co-Inoculation or Sequential Inoculation. Fermentation 2020, 6, 22.

Ci sono tantissimi studi ormai su questi aspetti. Si è visto che diversi elementi che influiscono sull’attività dei lieviti possono modificare la componente aromatica del vino. Fra di essi ricordo la presenza e la composizione di alcuni importanti fattori nutritivi, cioè sostanze presenti nel mosto che sono essenziali ai lieviti come fonti di azoto e vitamine. Un’influenza importante è dovuta anche al pH, oltre che alla temperatura. Elementi nutritivi e pH dipendono di nuovo dall’uva, dal fatto che sia maturata o meno in condizioni ottimali, da come è stata gestita la vigna, dal momento cruciale della raccolta … Naturalmente, è possibile aggiungere sostanze per aggiustare parametri non proprio ottimali, ma si tratta di un approccio produttivo che non esalta il territorio o serve a coprire difficoltà in vigna. Il pH può essere variato in altro modo, ad esempio, dalla presenza di certi microorganismi. Un tempo succedeva di frequente per la cessione di sostanze dai contenitori di cemento non rivestiti internamente.

Un altro elemento importante nel modificare la composizione aromatica di un vino è rappresentato dal tipo dei microorganismi presenti (lieviti e batteri). Ogni tipo (specie e ceppo) produce aromi fermentativi in quantità e proporzioni diverse. Quindi, più è alta la biodiversità dei lieviti, più si ha complessità. Ricordiamoci però che tutti questi elementi sono interconnessi fra loro: ad esempio, se abbiamo un’alta biodiversità di lieviti ma uva di scarsa qualità, non ci sarà comunque complessità aromatica. Si tratta comunque di una fase da gestire con attenzione, per evitare invece la presenza di microrganismi che hanno un’azione negativa e che quindi rovinano il vino in un altro senso. Tengo a sottolineare che comunque nessun microorganismo patogeno (per l’uomo) sopravvive nel vino, per la sua acidità.

Come ho già raccontato in un precedente articolo (qui), nel mosto finisce un gruppo eterogeneo di microorganismi che derivano dalle uve, dagli attrezzi di raccolta e dalla cantina. Questo gruppo è molto variabile e cambia col territorio, ma anche dalle condizioni climatiche, dall’insolazione, dai vitigni, dalla gestione della vigna e della cantina, … In realtà, la maggior parte di questi microorganismi muore nel passaggio da uva a mosto, perché si hanno condizioni molto diverse rispetto alla superficie di uva o oggetti: manca l’ossigeno, c’è una concentrazione di zucchero molto elevata, cambia la temperatura, ecc. Nel corso della fermentazione le condizioni cambiano di nuovo e quindi si modificano di nuovo le popolazioni dei microorganismi presenti. Soprattutto, soccombono quelli che soffrono il progressivo aumento dell’alcool. Alcuni ceppi hanno anche la capacità di produrre sostanze capaci di eliminare la concorrenza. Sappiamo che il Saccharomyces diventerà prevalente nel condurre la fermentazione, tuttavia i non-Saccharomyces, sia nelle fasi iniziali che quando diventeranno secondari, possono arricchire il mosto di metaboliti che contribuiscono positivamente al profilo aromatico del vino, ampliandone la complessità. Nella figura qui sotto, i microorganismi indicati col pallino verde sono invece alcuni inquinanti, che non si vorrebbero mai avere nella propria cantina, men che meno nella bottiglia finale.

Possiamo schematizzare i diversi gruppi di microorganismi in 4 famiglie, a seconda del loro comportamento:

  1. Microorganismi non fermentativi: sono quelli prevalenti sulle bucce ma che diminuiscono sensibilmente con l’ammostamento (ad es. specie di Cryptococcus, di Rhodotorula, A. pullulans, diverse specie di Serratia, ecc.)
  2. Specie fermentative ma con bassa tolleranza all’etanolo (alcool): aumentano nel mosto e partecipano alle fasi iniziali della fermentazione ma poi, con l’accumulo progressivo di alcool e per altri motivi, diminuiscono (diverse specie di Candida, Pichia, Lactobacillus, G. oxydans, ecc.)
  3. Specie fermentative, che tollerano l’accumulo di etanolo. Al termine dei processi però vanno a diminuire perché soffrono la mancanza di nutrienti (Saccharomyces cerevisiae, Oenococcus oeni, …).
  4. Specie resistenti anche all’assenza di nutrienti e alla solforosa: alcuni microorganismi possono rimanere in alto numero anche dopo il termine della fermentazione perché possono nutrirsi di altri composti e possono anche resistere all’aggiunta di solfiti in imbottigliamento. Fra questi ci sono alcuni inquinanti molto temibili, come ad esempio il Brettanomyces bruxellensis, che causa nel vino puzze veramente sgradevoli (odore di stalla, di cavallo, ecc.).

La comprensione di questi meccanismi ha portato anche alla selezione di lieviti che permettono di spingere il profilo aromatico del vino verso una certa direzione, sia per scelte commerciali che per sopperire a carenze produttive e tecniche (uve di scarsa qualità, ecc.). In questo modo però nascono vini decisamente diversi, che non esprimono la particolarità del proprio genius loci (o terroir). Nascono vini anche abbastanza buoni, ma simili a tanti altri che sono stati prodotti con le stesse tecniche. Sono poco coinvolgenti ed intriganti, che esprimono il loro potenziale in modo statico, meno vivi e capaci di evolvere nel tempo.

Se mi avete seguita fin qui, avrete infatti capito come la natura ci doni una complessità che noi umani difficilmente possiamo eguagliare. Con interventi che crediamo migliorativi, in realtà riduciamo questa ricchezza ai pochi elementi che riusciamo a controllare. Quando sentite parlare di vini artigianali, vini di territorio o altre definizioni simili, si parla di questo: di produttori che cercano di preservare al massimo tutte queste particolarità e di esaltarle nei propri vini.

Non è tutttavia semplice fare un vino gestendo al meglio tutta la complessità vi ho descritto e riuscire ad ottenere buoni/grandi risultati. Errori o gestioni sbagliate, dalla vigna alla cantina, possono far nascere comunque vini medi, mediocri o addirittura poco gradevoli. Qui sta il valore artigianale del vino. Gestire una vigna e fare vino sono lavori che richiedono numerose conoscenze di base, oltre che una grande esperienza ed un certo grado di talento. In altre parole, alla base ci vuole una grande professionalità. Purtroppo oggi quest’ultima parola è decisamente sottostimata, nel nome di un’improvvisazione che suscita più simpatia o che viene erronemanete associata a qualcosa di più “genuino”. La conoscenza non implica necessariamente più interventi stravolgenti sul vino: spesso è proprio il contrario. Chi più sa, spesso è chi più sa come lavorare bene in sottrazione, non in aggiunta.

Una metafora molto usata ma che rende bene l’idea è quella che associa la nascita del vino alla musica. Le viti sono i compositori. L’uva, ma anche il territorio, l’annata, i lieviti, ecc. sono i musicisti. Tutti questi elementi vengono diretti dal produttore, come un direttore di orchestra, che sa ottenere il massimo da ciascuno ma soprattutto riesce a farli lavorare bene insieme. (Immagine da Isak S. Pretorius (2017) Synthetic genome engineering forging new frontiers for wine yeast, Critical Reviews in Biotechnology, 37:1, 112-136, DOI: 10.1080/07388551.2016.1214945)

In conclusione, la nascita dei profumi di un vino è una specie di magia, che dipende da un connubio inscindibile: la natura (l’uva, con tutte le sue differenze legato al territorio e all’annata) e l’uomo (col suo lavoro, la sua cultura, tradizioni e scelte, oltre che la sua capacità), come scriveva il poeta:

“… Lo bevano;
ricordino in ogni
goccia d’oro
o coppa di topazio
o cucchiaio di porpora
che l’autunno lavorò
fino a riempire di vino le anfore,
e impari l’uomo oscuro,
nel cerimoniale del suo lavoro,
e ricordare la terra e i suoi doveri,
a diffondere il cantico del frutto”.
(Pablo Neruda, Ode al Vino)

Bibliografia (principali):

Trattato di enologia, P. Ribéreau-Gayon et al., 2013, Edagricole

Aromes des vins, Dossier spécial de la Revue des Oenologues, n.149 Nov. 2013