Chi visita le nostre vigne (ed il nostro territorio in generale) rimane particolarmente colpito dal trovare un ambiente per molti versi ancora incontaminato. Rimangono impressionati dalle nostre vigne inerbite, con particelle non troppo estese, alternate a filari di ulivi, alberi da frutto e siepi, confinanti col bosco. Questa situazione è particolarmente diffusa in tutta la nostra DOC Bolgheri.
Questo modo di gestire la vigna, integrata perfettamente nell’ambiente ed in consociazione con altre specie vegetali, è frutto di una tradizione antica e di precise scelte agronomiche ed ambientali, che nascono da studi di agroecologia.
[one_second][info_box title=”Cos’è l’agroecologia” image=”” animate=””]L’agroecologia nasce dalla fusione di due ambiti che possono sembrare, in un primo tempo, molto distanti: agricoltura ed ecologia. L’ecologia si occupa di capire l’intricato insieme di rapporti che un essere vivente instaura con l’ambiente in cui vive e con gli altri esseri viventi che lo popolano. L’agroecologia applica questo approccio ad un particolarissimo ecosistema, quello domesticato e gestito dall’uomo, l’agro-ecosistema.
L’agroecologia è nata come una scienza che studia questi aspetti, in modo interdisciplinare, negli anni ’60 circa. In America Latina ha assunto anche i connotati di un movimento politico, integrando al suo interno tutta la gestione del sistema alimentare umano.
Per quanto riguarda la viticultura, l’agroecologia è uno dei concetti chiave in una gestione sostenibile. In particolare, riguarda l’integrazione della vigna nell’ambiente di contorno e la preservazione della biodiversità in essa. Detto in altre parole, con una visione agro-ecologica, la vigna viene considerata come un ecosistema integrato, dove compaiono diversi soggetti che interagiscono fra di loro (viti, flora e fauna di contorno). Se gestititi in modo appropriato, questi possono trovare un equilibrio ottimale, sia per una migliore coltivazione che per preservare l’ambiente ed il paesaggio.
In questo articolo mi soffermo sulla consociazione della vite con altre specie vegetali, ma lo stesso succede col mondo animale. Ad esempio, è ormai stranota l’applicazione della lotta biologica, basata su alcuni insetti o acari che svolgono il loro ciclo vitale a spese di specie dannose per la vite. In questi ultimi decenni si stanno capendo sempre più anche le interazioni con organismi ancora più piccoli, come batteri e funghi. Molti sono dannosi, ma alcuni hanno invece funzioni di interscambio con la pianta, che portano a preziose associazioni simbiontiche (dove entrambi i partner ricavano qualcosa di utile). L’esempio più noto è quello delle micorrizie, funghi che colonizzano le radici della vite, sia all’esterno che all’interno, migliorando in modo significativo l’approvvigionamento di acqua e di nutrienti minerali, oltre che migliorando in generale la capacità fotosintetica. Gli studi più recenti si stanno concentrando sempre più anche sul microbiota che popola le foglie, cioè l’insieme delle popolazioni dei microorganismi che vivono questi spazi. Diversi di essi sembrano giocare un ruolo importante nel matenimento della sanità della pianta. Alcuni batteri hanno dimostrato di inibire o ritardare la crescita di funghi dannosi alla vite, per cui si sta anche cercando di mettere a punto delle applicazioni pratiche. [/info_box][/one_second]
Il paesaggio viticolo di tante zone mondiali è spesso ben diverso. Deriva da un’impostazione che è nata con l’era moderna della viticoltura, che tende ad isolare la vite il più possibile da ogni forma vivente: suolo nudo, grosse estensioni di vigneti, un uso eccessivo di fitofarmaci che quasi “sterilizzano” la vigna. Questo modello, che ha dominato per decenni, ha ormai mostrato tutti i suoi limiti.
Dall’essere considerata una scelta di nicchia, retaggio del passato o visione bucolica di campagnoli alternativi (come ci siamo sentiti anche dire!), la gestione agroecologica della vigna sta interessando sempre più il mondo vitivinicolo. Sempre più articoli e pubblicazioni suggellano questo sistema come un modello agronomico valido, che può rappresentare la migliore prospettiva per un futuro sempre più sostenibile della viticoltura.
La consociazione vegetale in vigna è parte integrante della nostra tradizione, anche se in molti territori questa impostazione è andata perduta. Nella millenaria storia delle vigne d’Italia, la viticoltura più comune era promiscua, con filari di viti alternate ad altre coltivazioni. Addirittura gli alberi erano il sostegno stesso delle viti. Vi ricordate la vite “maritata” all’albero di origine etrusco-romana, che è rimasta nelle campagne del centro-nord Italia fino a metà Novecento? (Ne ho parlato diverse volte, soprattutto qui e qui).
Il mio non vuole essere un discorso finto-ingenuo o passatista, del tipo che prima era meglio o altre cose simili. Sicuramente, l’epoca moderna della viticoltura ci ha fatto imparare tantissimo, ma ha avuto anche degli eccessi indiscutibili. Ormai abbiamo capito che la viticoltura deve essere sostenibile sotto tutti i punti di vista: non solo per una produzione ottimale ma anche per la tutela dell’ambiente e della nostra salute. Per arrivare a questo risultato, dobbiamo fare la migliore sintesi possibile fra le diverse vie, prendendo il meglio di ciascuna.
La ricerca sta dimostrando sempre più che la consociazione delle viti con altre specie vegetali contribuisce a migliorare diversi aspetti della viticoltura, nell’insieme di una gestione generale agronomica volta alla sostenibilità. Vediamo, in breve, i vantaggi principali.
L’aspetto positivo più immediato è quello paesaggistico. Al di là del fascino che possono avere le linee geometriche di estensioni enormi di monoculture, è sicuramente più bello ed appagante un paesaggio dove si alternano diversi elementi. La bellezza non è un fattore trascurabile, ci riempe occhi e cuore. Tuttavia, la consociazione non si ferma ad una bella cartolina ma dà vantaggi ancora più profondi, sia di naturale ambientale che agronomica, come ora vedremo.
Un ambiente ricco di specie vegetali diverse permette una maggiore preservazione della biodiversità e dell’ambiente. Oggi si parla tanto di biodiversità della vigna e dell’utilità della lotta biologica. Credo che sia facilmente intuibile che sia difficile però la permanenza di insetti o altri organismi utili in una monocultura, dove magari anche si eccede con l’uso di fitofarmaci. Un ambiente con numerose specie vegetali è molto più attrattivo. Presenta fioriture a scalare per tanti mesi, oltre che offre diversi habitat. La vigna in questo modo diventa anche un “corridoio verde”, che può essere percorso da piccoli animali, nei loro spostamenti fra boschi, macchie e cespugli.
La ricerca ha dimostrato come la presenza di alberi, arbusti ed erba influisce sul micro-clima della vigna. I cambi climatici stanno portando ad innalzamenti delle temperature medie, che stanno causando sempre più fenomeni di accellerazione delle maturazioni delle uve. Diventano sempre più frequenti anche eventi meteoreologici estremi, come precipitazioni torrenziali, siccità accentuata, ecc. La presenta di vegetazione non è certo risolutiva, ma migliora diverse situazioni. Ad esempio, siepi ed alberi possono essere d’ostacolo al vento. La presenza di una ricca vegetazione migliora l’idrometria locale, grazie alla traspirazione-evaporazione delle foglie. Diminuiscono anche gli effetti delle gelate. Negli ambienti più caldi, invece, una parziale ombreggiatura contrasta gli stress dovuti ad eccessi termici e di irraggiamento solare, …
Migliora la qualità del suolo: alberi, arbusti e copertura erbosa influiscono in modo importante con la loro massa radicale. Determinano un aumento della materia organica e dell’attività biologica della rizosfera. Uno dei problemi più importanti del nostro clima mediterraneo è la scarsa presenza media di sostanza organica nei suoli, per via di cicli di mineralizzazione troppo accellarati dalle alte temperature. Le numerose radici che esplorano il suolo a diverse profondità facilitano gli scambi di materia, oltre che contribuiscono a mantenere una certa porosità che tampona gli eccessi di acqua da un lato e, dall’altro, riduce gli essicamenti e l’erosione.
In generale, cambia il flusso di tutti gli ambiti energetici (irradiazione luminosa, turbolenza dei venti, ciclo dell’acqua e dei nutrienti). Ad esempio, degli studi hanno evidenziato le differenze del ciclo della fissazione del carbonio in situazioni di vigneto “nudo” rispetto a vigne in consociazione, a netto vantaggio delle seconde.
In particolare, la presenza di una ricca vegetazione determina un effetto positivo sul microbiota della rizosfera. Il suolo è più vivo, ricco di funghi, batteri, lombrichi, ecc. Aumenta la presenza delle micorrizie, perchè queste non colonizzano solo le viti ma anche altre specie arboree. Questi funghi, come dimostrato, hanno effetti positivi sulla capacità fotosintetica delle piante ma anche sulla loro capacità di esplorare il suolo per l’approvvigionamento di sali minerali ed acqua. Il micelio extra-radicale delle micorrizie può colonizzare nello stesso momento più piante, sia viti che altre, creando una sorta di cenosi inter-specifica. La presenza di più specie vegetali può portare ad una maggiore differenziazione delle micorrize presenti, rispetto alla monocoltura, aumentando la probabilità della loro diffusione e sopravvivenza. Si è anche visto che la presenza di comunità diversificate di micorrizie velocizza il tempo di colonizzazione delle radici di giovani piante.
La consociazione tradizionale deriva da usi antichissimi, a volte fatti con sapienza, a volte casuali. Oggi l’agroecologia della vigna permette degli studi approfonditi sulla particella per capire la disposizione migliore dei diversi alberi, la scelta delle specie da inserire, sia come essenze che come taglia, ecc.
Credo che però la presenza di essenze locali, anche spontanee, crei una consociazione specifica molto più interessante rispetto a progetti troppo costruiti, rientrando anche nel concetto generale di specificità del genius loci (o terroir viticolo, chiamatelo come preferite) di quella vigna. Non dobbiamo dimenticare che uno dei principali fini della viticoltura sostenibile è quello minimizzare gli input umani. Credo sia un controsenso una costruzione artificiosa di una “falsa” naturalità, oltrettutto se ha necessità di continui interventi umani per essere mantenuta. Una gestione ottimale dovrebbe condurre ad un agro-ecosistema che si equilibri il più possibile da solo.
Ad esempio, nel caso del manto erboso, il prato spontaneo ha dei vantaggi indubbi rispetto il seminato. Numerosi studi hanno dimostrato che l’accumulo di azoto disponibile nel suolo grazie al sovescio di certe leguminose non sia così diverso da quanto si possa ottenere col prato spontaneo. Se non ci sono grossi impedimenti, perché non lasciar fare alla natura, evitando le continue semine? I vantaggi ecologici e di gestione sono evidenti: si limitano gli usi del trattore (si riducono i consumi di carburante e si evitano troppi ingressi che compattano il suolo), diminuiscono le spese in generale (è inutile comprare il seme quando il prato si rigenera da sé), ecc. Credo che sia un controsenso parlare di biodiversità in vigna e poi impostare la monocultura anche nel prato. Quello spontaneo sviluppa numere specie diverse che fioriscono a scalare, in modo da creare un ambiente più in sintonia con le stagioni, molto più attrattivo per la micro-fauna locale.
Concludo tornando a quella che è la massima forma di consociazione della vite con altre specie vegetali: la vite “maritata” l’albero che a Guado al Melo stiamo studiano da diversi anni in campo. Questa forma antica tradizionale è snobbata dal mondo produttivo. C’è molta chiusura nel mondo del vino italiano intorno a questo tema: è un sistema che viene visto come vecchio e superato.
Curisamente, sto trovando invece sempre maggiore interesse per le viti maritate nella letteratura francese di settore. Sempre più mi capita di leggere articoli e testi sull’argomento, come nello speciale della Revue des Oenologues che cito in fondo.
Come ho già raccontato nella parte finale di questo post, i Romani dall’Italia la portarono anche nel resto d’Europa, Francia compresa. I francesi, storicamente, hanno abbandonato la vite maritata molto prima di noi, ma stanno tornando a riscoprire questa forma d’allevamento come nuova strada per un possibile futuro della viticoltura. Ad esempio l’OIV ha premiato fra i migliori libri del 2020 per la viticoltura sostenibile (o “durable“, come dicono in Francia), un libro che parla di consociazione fra viti ed alberi, fra cui anche la vite alberata. Sto parlando de “La vigne et ses plantes compagnes” di Léa Darricau e Yves Darricau, ed. La Rouergue (2019).
Il mio vuole essere anche un invito a svegliarsi per il mondo del vino italiano. Come è già successo troppe volte per tanti altri aspetti del vino, aspetteremo di capire l’importanza di questa nostra tradizione quando i francesi l’avranno rilanciata e rivendicata nel mondo come loro? A quel punto ci sembrerà interessante? Meditiamo!
“Pratique viticoles inspirantes – Agroécologie en action au service du vivant”, Revue des Oenologues.., Dossier Spécial, Nov. 2020, n.177
“Agroecology as a science, a movement and a practice. A review” A. Wezel*, S. Bellon, T. Dore´, C. Francis, D. Vallod, C. David (2009), Agronomy for Sustainable Development29(4):503-515
“Vine Roots”, by E. Archer and D. Saayman, 2018 The Institute for Grape and Wine Sciences, Stellenbosch University
“La nuova viticultura”, a cura di A. Palliotti et al., 2015, Edagricole.