Non esiste una ricetta precostituita nella produzione artigianale: la bellezza e la difficoltà di questo lavoro stanno proprio nel capire come le modalità di vinificazione cambiano ogni anno e fra le diverse partite. Ogni decisione deriva dall’assaggio, affiancato da analisi, che rimane insostituibile per cogliere gli equilibri complessi che sono alla base di un grande vino.

Ogni passaggio della vinificazione e dell’invecchiamento deve essere fatto con estrema cura e competenza ma secondo noi dovrebbe influire il meno possibile sulle caratteristiche del vino. Il suo carattere rimane unico se dipende essenzialmente dall’uva e, quindi, dal territorio. Questo è possibile però solo se si è fatto prima un ottimo lavoro in vigna.

Solo partendo da grandi uve (equilibrate, sane, raccolte nel momento ottimale della maturazione e selezionate) è possibile fare un lavoro di cantina che esalti le caratteristiche territoriali, evitando l’utilizzo di interventi chimico-fisici che ne alterino la natura. Sempre in quest’ottica, abbiamo scelto vasi vinari e strumenti di cantina fra quelli più neutri, che influiscono il meno possibile sulle caratteristiche del vino, come ad esempio le botti non nuove.

Le uve sono vinificate in piccole partite separate, provenienti da micro-zone di vigneti con caratteristiche omogenee. Ogni partita è seguita così con estrema cura e nel modo più opportuno per essa. Alcune partite sono mono-varietali. Altre sono frutto di un accurato studio delle sinergie uniche che si sviluppano dalla co-fermentazione di più varietà.

Sul vino finito verifichiamo con analisi l’assenza di qualsiasi residuo non voluto.

Alcuni concetti chiave:

L’uva, dopo essere stata raccolta e selezionata arriva in cantina, in quella che in Toscana una volta era detta tinaia.  Per produrre vini rossi, si usa una diraspa-pigiatrice, che toglie i raspi e schiaccia pochissimo gli acini. Gli acini quasi integri, col succo, sono spostati in una vasca di fermentazione. Per produrre vini bianchi, dopo la diraspatura, gli acini sono pressati in modo molto soffice.

La produzione del vino bianco è molto più delicata del rosso, perché si altera molto più facilmente. Il mosto deve essere pulito dai resti vegetali e lo facciamo per precipitazione naturale dei torbidi, lasciandolo al fresco per una notte. Dopo di che, il mosto viene trasferito in una nuova vasca, senza smuovere il fondo.

Il nostro lavoro è agevolare la fermentazione alcolica facendo sì che si svolga nelle migliori condizioni possibili, garantendo un andamento il più possibile lento e regolare. Nelle prime fasi della fermentazione cerchiamo di preservare al massimo l’alta biodiversità degli organismi fermentatori, che favorisce la nascita di vini complessi. Quando serve, vengono fatti dei brevi passaggi del vino all’aria, per dare ossigeno ai lieviti. La fermentazione dura in media una settimana o poco più e si esaurisce da sola.

Lavoriamo per partite separate di particelle omogenee di vigna. Alcune comprendono una sola varietà. Altre, vengono da vigne più complesse, dove abbiamo recuperato la tradizione dell’uvaggio di campo. In questo caso, la tradizione era di fermentare insieme più varietà. Il risultato non è lo stesso: nella co-fermentazione si sviluppa un effetto sinergico che origina aromi e gusti unici. La co-fermentazione è possibile per partite di uve che hanno momenti di maturazione simili.

Nella produzione di vini rossi, contemporaneamente e dopo la fermentazione, avviene la macerazione delle bucce. Queste, stando a bagno nel mosto/vino, rilasciano gradatamente colore, aromi, precursori aromatici e tannini. La durata della macerazione dipende molto dal tipo di uva, di vino che si vuole ottenere, se più giovane o più invecchiato. Non è standard nella produzione artigianale neppure tutti gli anni e per le diverse particelle di vigna.

Le bucce tendono a formare una massa compatta (il «cappello») che galleggia sul vino, che limita la macerazione e che può diventare terreno fertile per microorganismi sfavorevoli o altri problemi. Per evitarlo, è necessario mescolare delicatamente tale massa, con frequenza diversa per varietà, annata e tipologia di vino. Per le vasche piccole facciamo le follature, cioè mescoliamo con un lungo bastone dall’alto. In vasche un po’ più grandi facciamo i rimontaggi manuali, con l’aiuto di un tubo e la spinta delicata di una pompa.

È il processo che pone fine alla macerazione per i vini rossi. La decisione del momento non è di facile interpretazione per un vino artigiano di alta qualità. Si decide con la valutazione gustativa dei tannini, fatta da una persona esperta e che ha ben in mente la direzione da prendere. Per fare la svinatura, non si mescola più e si lascia compattare il cappello nella parte alta della vasca. Il vino viene tolto lentamente dal basso. Le vinacce sono poi pressate molto delicatamente per recuperare la parte di vino di qualità che ancora contengono. Poi vengono inviate alla distilleria per la produzione della grappa.

Nel vino può essere presente l’acido malico, un composto dell’uva che può essere fermentato dai batteri lattici, dando luogo a quella che veniva chiamata una volta la “seconda fermentazione”. L’acido malico ha un’acidità molto dura. È massimo nell’uva acerba e tende diminuire nel corso della maturazione, in dipendenza dal clima. Nell’ambiente mediterraneo come il nostro, il caldo tende a farlo degradare quasi completamente, per cui è in genere assente nelle uve mature. Nei climi freddi invece permane e la fermentazione malo-lattica ne smussa l’acidità, oltre che dare note aromatiche particolari.

Al termine della fermentazione, i nostri vini bianchi rimangono nelle vasche ad affinare sulle fecce fini (i resti dei lieviti), con frequenti rimescolamenti. Questo affinamento arricchisce i vini di note evolute e li rende più complessi. Dura circa 4 mesi per il vino giovane l’Airone, quasi un anno per il Criseo, donandogli anche longevità. Alla fine, il vino è illimpidito per precipitazione spontanea dei torbidi a freddo.

L’affinamento in legno non può però essere affrontato da qualsiasi vino: alla base ci devono essere un territorio e i vitigni adatti, equilibri opportuni delle uve e vinificazioni adeguate. I periodi minimi di affinamento sono stabiliti dal Disciplinare di produzione della DOC. I nostri vini rossi rimangono il legno, a seconda della tipologia, dai 4 mesi ai 2 anni. Usiamo botti piccole (225 e 500 litri), non nuove. Il legno quando è nuovo rilascia in modo intenso dei composti aromatici tipici di legno-vaniglia che non vogliamo che diventino predominanti.

Il legno è un materiale poroso e col tempo una parte di vino può evaporare. L’abbassamento del livello esporrebbe il vino ad alterazioni irreversibili (l’ossidazione). Per contrastare l’evaporazione, le botti sono tenute nella parte più umida della cantina, che in Toscana è chiamata tradizionalmente la bottaia. È necessario comunque un controllo periodico e la colmatura di piccole quantità al bisogno.

Il vino rosso è tradizionalmente invecchiato ancora torbido, con i resti dei lieviti della fermentazione. La permanenza sulla feccia fine ha un effetto positivo sul corpo del vino, la stabilità e la complessità aromatica nel tempo. Questa pratica richiede però molta cura. Siccome la feccia tende a precipitare sul fondo, dobbiamo mescolare ogni singola botte, con un bastone, circa una volta a settimana. Sono anche necessari assaggi periodici, per cogliere per tempo eventuali fenomeni di riduzione indotti dalla feccia che possono alterare il vino in modo irreversibile. Se sono però presi in tempo, si risolvono con un travaso arieggiante.

Nel periodo finale dell’invecchiamento, procediamo ad illimpidire il vino, che non sarà filtrato, con la tecnica tradizionale dei travasi. La botte non viene più rimescolata e il torbido si deposita sul fondo. Allora, delicatamente, togliamo il vino dall’alto e lo portiamo in una nuova botte. I travasi sono ripetuti per circa 6-7 volte o più, a seconda della necessità. Queste tecniche tradizionali possono comportare a volte piccoli depositi in bottiglia, segni di un lavoro artigianale.

Nel corso dell’invecchiamento, ogni botte ha la sua piccola storia evolutiva. Ogni botte contiene il vino di una micro-particella di vigna con una o più varietà. Questi singoli elementi si devono però ricomporre per ottenere il vino finale, in una scelta sapiente che compiamo con attenzione e studio. Il vino finale poi sosta per alcuni mesi in una grande vasca perché si rimescoli naturalmente. È come una nascita, c’è bisogno di tempo: dalle singole unità si forma qualcosa che non è la loro semplice somma, ma l’espressione di una sinergia unica e irripetibile.

Lo zolfo era usato fin dall’antichità per la sua capacità di «pulizia». Riusciamo a metterne il minimo indispensabile, usando uva sana e di qualità e facendo una vinificazione accurata. L’uso dei solfiti nel vino, fra l’altro prodotti in piccola parte anche dal metabolismo dei lieviti, è dovuto alla sua capacità antimicrobica, antiossidante e conservante. La solforosa necessaria viene aggiunta al momento dell’imbottigliamento.

Dopo l’imbottigliamento lasciamo il vino a riposare in bottiglia, in posizione coricata, per un periodo che va dai 3 mesi a qualche anno, a seconda della tipologia. Per un vino semplice, una breve sosta in bottiglia lo «riassesta» dopo lo stress dell’imbottigliamento. Negli affinamenti più lunghi avvengono processi di trasformazione che portano a completare la personalità del vino. Alla fine, riprendiamo le bottiglie, le puliamo, le confezioniamo e sono pronte per voi.