Sulla maggiore calamità della viticoltura: la fillossera (parte 1°)
La fillossera è stata una delle più grandi calamità della storia della viticoltura ed occupa quindi una notevole parte della letteratura tecnico-scientifica del settore, dalla fine degli anni ’60 del XIX sec. fino agli anni 30’ (circa) del Novecento. Anche nella nostra biblioteca storica abbiamo diversi volumi su questo argomento. Rileggendo queste opere si scopre come la storia della fillossera è terribile ma molto interessante, ricca di colpi di scena e risvolti anche avventurosi.
Ricordo che la fillossera è un piccolo insetto, un afide che vive sulla vite con un ciclo vitale abbastanza complesso. Basta qui ricordare che esistono diverse generazioni e forme, alcune che si insediano sulle foglie della pianta e altre nelle radici. Punge i tessuti col suo rostro, causando la formazione di galle dove si inserisce e deposita le sue uova.
La fillossera è originaria del continente americano dove, in milioni di anni di co-evoluzione, ha instaurato una convivenza abbastanza pacifica con le viti locali. Sulla vite americana l’insetto svolge il suo ciclo completo, senza creare troppi problemi alla pianta. Si concentra soprattutto sulle foglie, dove forma un gran numero di galle, mentre le radici sono meno sensibili e non subiscono molti danni.
L’incontro improvviso con la vite europea si è rilevato invece devastante, proprio perché non calmierato da processi di co-evoluzione. Le viti europee subiscono molto più l’attacco alle radici che alle foglie. I tessuti radicali della vite europea sono molto sensibili alla puntura dell’insetto e si alterano pesantemente, formando come delle tuberosità. Lo stato di alterazione favorisce l’attacco concomitante di altri parassiti, come acari e funghi. L’insieme porta la pianta al deperimento e poi, nel giro di pochi anni (in genere tre), alla morte.
Nell’Ottocento, in Europa, questo insetto era assolutamente sconosciuto e, quando ci furono le prime osservazioni della malattia, non si sapeva assolutamente con cosa si avesse a che fare.
Nel 1863 il prof. Westwood dell’università di Oxford osservò con curiosità delle galle sulle foglie di una vite in una serra a Londra. Prese nota della cosa ma al momento non ci pensò più. Sempre nel ’63, fu osservato un primo deperimento delle vigne nel Sud della Francia, nel Gard. Non era che l’inizio: una strana “malattia” che portava le viti alla morte iniziò ad abbattersi sulle vigne del Sud del Francia, per poi propagarsi in altre zone vinicole. Finirà per espandersi in tutta Europa e nelle altre zone vitate mondiali.
Il momento storico dell’esplosione della calamità della fillossera è quello della seconda metà dell’Ottocento, un momento d’oro per la viticoltura francese, in quel momento una delle voci più importanti dell’economia agricola del paese. Questo era avvenuto grazie ad un aumento progressivo della produzione, all’aumento dei consumi e alla maggior facilità dei trasporti, grazie alla ferrovia. Da un lato vi erano i grandi proprietari terrieri ma, dall’altro, erano aumentati sensibilmente dall’inizio del secolo anche i piccoli produttori. Ricorda il senatore dell’epoca François Tamisier, in un suo discorso tenuto nei momenti drammatici della fillossera: “…si è formato in Francia un numero considerevole di piccoli proprietari vignaioli (vignerons), laboriosi, economi che, da padre in figlio, da oltre ottant’anni hanno conquistato una parte importante della vigna di Francia col loro lavoro ostinato, fecondo per il paese così come per loro…. Un miliardo cinquecento otto milioni e ottocentomila franchi: tale è, approssimativamente, la resa media annuale dell’industria della vigna francese…”.
Tutto questo venne però seriamente minacciato dalla comparsa di una malattia misteriosa.
Non appena ci si rese conto di avere a che fare con un fenomeno grave, vennero formate delle commissioni tecniche per cercare di vederci chiaro. L’interesse in gioco era notevole. Tuttavia, le prime commissioni non capivano cosa stesse succedendo, non trovando nulla di rilevante nelle vigne.
La svolta ci fu il 15 luglio del 1868 quando una nuova commissione, formata dal botanico Jules Émile Planchon, da Gaston Bazille (avvocato e viticultore, nonché Presidente della Società Agricola dell’Hérault) e Félix Sahut (proprietario agricolo ed agronomo), esaminò una vigna morente a St-Martin-de-Crau nell’Hérault. Studiando le viti morte, come avevano fatto tutti gli altri, non notarono nulla. Ebbero però l’intuizione di sradicare delle piante ancore vive e di studiarne le radici. Qui notarono la presenza di insettini giallastri. Continuarono l’esplorazione delle regioni circostanti ed ovunque, nei vigneti colpiti dalla calamità, osservavano la presenza degli stessi insetti. Bazille scrisse: “Osservando con lenti d’ingrandimento su radici, non ci sono funghi, non ci sono crittogami, ma subito, sotto la lente dello strumento, appare un insetto, un afide di colore giallastro, attaccato al legno e che succhia la linfa. Guardano meglio si osserva che non è uno, non sono dieci, ma sono centinaia, migliaia di afidi a diversi stadi di sviluppo. Sono ovunque, sulle radici più profonde così come su quelle più superficiali”.
Il risultato di queste osservazioni venne diffuso, sottolineando la gravità di quanto stava accadendo. All’inizio ci fu scetticismo: ricordo che era una un’epoca in cui non erano ancora chiari i legami fra malattie ed insetti (o altri orgamismi viventi). Ci fu chi pensò che l’insetto non fosse la causa, ma solo una conseguenza. Ad esempio, il Conte Poul de Gasparin, sul Giornale d’Agricoltura del 20 agosto 1868 scrisse: “Si è concluso, con grande enfasi, che queste povere piccole creature hanno portato la mortalità delle viti. Siccome questa mortalità è iniziata con forza prima del momento di vitalità di questi insetti, questo parere mi sembra poco probabile. Questi sono piccoli insetti giallo dorati, si percepiscono con difficoltà ad occhio nudo. Sembrano per la forma più degli onischi che degli afidi, credo che al più siamo materia per gli entomologi…”
Planchon rispose con dimostrazioni scientifiche. Anche questo però non convinse definitivamente. Il problema è che sembrava che gli insetti fossero molto numerosi sulle piante ancora in vigore, mentre sembravano diminuire sensibilmente sulle piante prossime alla fine. Le diffidenze furono poi superate.
Intanto Planchon continuò comunque le sue ricerche e riconoscendo i suoi limiti (essendo un botanico), si rivolse all’esperto di storia naturale Donnadieu. Osservarono l’insetto al microscopio e lo chiamarono Rhizaphis vastatrix (prendendo spunto dalla sua azione devastatrice sulle radici). Questo è il nome con cui la fillossera comparirà sulle prime opere scientifiche che la riguardano. Lo inviò anche ad un esperto entomologo di Parigi, Signoret, che lo riconobbe come un membro della famiglia Phylloxera. Fu chiamato allora Phylloxera vastatrix (fillossera devastratice). Da allora in poi fu per tutti, semplicemente, fillossera o… la Bête (la Bestia) come veniva spesso chiamata all’epoca.